Giorni fa ho ricevuto una lettera da un amico vescovo che mi ha profondamente colpito: sottolineava il bisogno di santità nella nostra vita e la sete che la gente ha di essa. Oggetto della lettera, la presentazione del Movimento Pro Sanctitate, che è nato a Roma, nella “Città Eterna”, nel 1947, quando l’Europa si stava riprendendo dalle distruzioni della II Guerra Mondiale.
Il Servo di Dio Guglielmo Giaquinta fondò il Movimento con la convinzione che i laici sono chiamati alla santità tanto quanto il clero. Di più, ha sottolineato che la santità non è una meta raggiungibile soltanto da una élite di persone, ma una chiamata rivolta a tutti. Il nostro mondo è assetato di santità. Basta pensare alla stima che circonda le persone che si sacrificano per gli altri e quanto affetto suscitano in tutti. Anche la tendenza a chiamare qualcuno “eroe” per azioni semplici, quali offrire il caffè durante un incontro di lavoro o mostrarsi caritatevole, dimostra quanto profonda sia nella nostra società la sete di bene, il desiderio di una santità che permei il nostro mondo.
Il Vescovo Giaquinta è stato profeta: il Concilio Vaticano II infatti, venti anni dopo, ha sottolineato questo semplice messaggio nella Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (39). «Perciò tutti nella Chiesa, sia che appartengano alla gerarchia, sia che siano retti da essa, sono chiamati alla santità, secondo le parole dell’Apostolo: ‘Sì, ciò che Dio vuole è la vostra santificazione’».
Ben presto, nel suo ministero sacerdotale in parrocchia, il giovane sacerdote Giaquinta si rese conto che i suoi parrocchiani avevano il forte desiderio di una più profonda esperienza di fede. In particolare, un gruppo di sei giovani, che costituirono poi l’Istituto delle Oblate Apostoliche, si consacrarono con voti di povertà, castità ed obbedienza. In seguito il Movimento è cresciuto ed ha incluso gruppi di sacerdoti, donne e uomini, singoli o sposati.
Il Vescovo Giaquinta ha spiegato il cammino verso la santità in modo piuttosto semplice: si tratta di rispondere al dono di amore massimo di Dio con il massimo di amore di cui siamo capaci. Il Vescovo si domanda: “Perché, quindi, Cristo invece di scegliere il minimo ha scelto il massimo per redimerci? [...] Gesù ha scelto il massimo per renderci consapevoli della serietà del peccato, ma ancor più perché ha voluto manifestarci la immensità del Suo amore per noi…”. Gesù desidera che accogliamo il suo amore così da poter vivere nel suo amore e nella sua verità. Ciascuno di noi, ogni credente, deve rispondere all’infinito amore di Dio più che sia possibile nel proprio stato di vita: è questo che conduce alla santità. L’intimità con Gesù, con il Padre e con lo Spirito Santo ci aiuta e ci fa crescere nel loro amore fino a diventare santi come Dio è santo (1Pt 1, 13-16).
Guardando al nostro mondo, così pieno di tutte le conseguenze del peccato, si vede con chiarezza che ha bisogno di donne sante e di uomini santi, in ogni stato di vita.
Il Vescovo Giaquinta ha anche sottolineato che la chiamata alla santità non è solo a livello personale. Uno dei suoi famosi detti così ben coniato è: “Costruire la civiltà dell’amore! Tutti santi, tutti fratelli”. È la risposta al comandamento di Gesù “Amatevi come io vi ho amato” (Gv 13, 34).
Questo significa che ciascuno di noi ha la responsabilità di amare il prossimo al massimo, coltivando la sua crescita nell’amore massimo e, inoltre, quella di contribuire alla trasformazione della società in modo da promuovere la santità.
“Il nostro mondo, dice il Vescovo Giaquinta nel suo libro La Rivolta dei Samaritani, ha bisogno di ‘Buoni Samaritani’ modellati secondo la parabola del Vangelo, che non hanno paura di andare al di là dei limiti sociali, politici e culturali per portare il messaggio di amore al mondo.”
Quanto vero è questo, anche oggi!
Io esorto con forza chi legge questo mio articolo, e soprattutto i fedeli dell’arcidiocesi di Denver: sforzatevi di diventare santi! La nostra nazione, il nostro mondo ed i nostri tempi hanno bisogno di santi che rispondano all’amore di Dio con il massimo di amore in tutto ciò che fanno.
(Samuel J. Aquila - Arcivescovo di Denver (USA))