Nelle giornate in cui ho tassativamente deciso che mi prenderò del tempo per me finisco sempre per essere nervosa e arrabbiata, perché sistematicamente non riesco a rispettare il programma, o se ci riesco è perché ho trascurato qualcos'altro o peggio qualcun’altro, e per quanto cerchi di nascondermelo lo saprò sempre benissimo.
Quando invece decido di seguire l'onda delle giornate senza opporre resistenza, come fa Teresa, anzi, più che di seguirla di nuotare sulla spuma dell'onda, allora è una grazia. Perché quello dell'obbedienza - l'obbedienza alla vita, alla nostra realtà – deve essere un ballo, come scrive Madeleine Delbrel, sennò perdiamo la parte migliore. Noi siamo tutti predestinati all'estasi, tutti chiamati a uscire dai nostri poveri programmi per approdare, di ora in ora, ai piani di Dio. Noi non siamo mai dei miserabili lasciati a far numero, ma dei felici eletti chiamati a sapere ciò che Dio vuol fare, chiamati a sapere quello che aspetta, istante per istante, da noi. Il gomitolo di cotone da rammendare, scrive Madeleine, la lettera da scrivere, il bambino da alzare, il marito da rasserenare, la porta da aprire, il microfono da staccare, altrettanti trampolini per l'estasi, altrettanti ponti per passare dalla nostra volontà alla gioia di sapere di essere nella volontà di Uno più grande.
L'obbedienza non è passività (chi ne dubitasse chieda a marito e figli di Teresa, detta il generale), al contrario, è il massimo della forza: è conformazione a qualcosa di più grande. È capire che la nostra libera determinazione non è da sola un valore, quando invece a molti sembra il supremo e l’intoccabile. Al contrario essere autodeterminato, quindi in qualche modo isolato, ti impedisce di entrare in relazione con l’unico che davvero, davvero ti capisce e ti riempie completamente la vita, con la Persona disposta a intessere con noi il rapporto personale più profondo e più vero.
Costanza Miriano, Obbedire è meglio. Le regole dalla compagnia dell’agnello
26/06/2015