Incontrare Dio per unificare il cuore - prima parte -

 

Don Luigi Verdi è il responsabile della Fraternità di Romena. Ha iniziato il suo cammino di sacerdote a Pratovecchio. Nel 1991, dopo una crisi personale e spirituale, ha chiesto al vescovo di Fiesole di poter realizzare a Romena un'esperienza di fraternità. In pochi anni la pieve è diventata luogo d'incontro e punto di riferimento per migliaia di persone. Abbiamo intervistato don Luigi in occasione di un incontro del Movimento Pro Sanctitate presso il Centro Oreb, a Calino.

 

Pubblichiamo l’intervista in due parti, per facilitarne la lettura e non perdere la ricchezza dei contenuti.

 

 

Don Luigi, qual è il tuo dono nella Chiesa a partire anche dalla Fraternità di Romena?

 

Io sento come un dono la mia vita, che ho scelto per Gesù. Non mi sono innamorato dell’idea di Gesù, mi sono innamorato dei gesti di Gesù, come quando in una storia d’amore ci si innamora, non ti innamori dell’idea ma ti innamori di come cammina la tua donna, di come sorride il tuo uomo, di come s’addormenta. Penso che noi che abbiamo avuto una vocazione per essere nella Chiesa, per scegliere questo cammino con Gesù, ci siamo innamorati - almeno io - di come Gesù camminava, di come Gesù piangeva, di come Gesù lavava i piedi agli amici, di come Gesù incontra la vedova di Naim a cui muore l’unico figlio e tocca la bara del bambino morto. Ecco, io mi sono innamorato del modo di essere di Gesù.

Mi sono innamorato di Gesù, sono partito senza ascoltare niente e ho cominciato senza nemmeno sapere dove andare. Poi, dopo sette anni di prete sono andato in crisi. Facevo anche bene le cose, ma non sentivo più che quello che facevo mi dava quella pienezza che cercavo dell’innamoramento dell’inizio. Per cui ho chiesto un anno al Vescovo, sono andato via e sono tornato, dopo un anno: Bolivia, deserto, tre mesi di qua tre mesi di là e ho chiesto al Vescovo di tornare a fare il prete, però in questa pieve romanica dove era tutto diroccato e ho cominciato a provare dare una mano a chi passava una crisi, visto che avevo passato quell’anno di crisi e da lì è nato questo cammino nuovo.

Mi è venuta in mente l’idea del figlio prodigo, come a dire che se uno si perde, prima rientra in se stesso, poi chiede perdono a Dio e poi torna a casa. Allora ho inventato dei fine settimana, un primo corso umano-psicologico: “guardati dentro”. Il secondo era “innamorarsi di Dio”; Terzo: “trovare strumenti concreti per tornare a casa e campare meglio”.

Dio è dentro le persone. C’è Antonietta Potente, bravissima, che ha fatto un libro: “La religiosità della vita”. Lei dice una cosa saggia: la vita è religiosa di suo. E se anche non ci fossimo noi preti, suore, persone con la vocazione, la gente cercherebbe Dio lo stesso. È dentro l’essere umano la ricerca dell’infinito. Per cui non mi preoccupo tanto di convertire le persone.

Quello che mi interessa - e invece credo utile oggi - è aiutare le persone ad ascoltarsi, che non si ascolta più nessuno, ad alzarsi invece di lamentarsi di continuo, ad aprire gli occhi e a guardare meglio. Se tu aiuti una persona ad ascoltarsi, ad alzarsi, a guardare meglio è fatta. Poi la soluzione ce l’ha dentro e oggi questa è la fatica più grande per cui il dono che può essere alla Chiesa, è cercare di rendere una Chiesa più attenta all’umanità. Lo diceva il Cardinal Martini quando gli chiedevano: dov’è la debolezza della Chiesa? Lui saggiamente diceva: C’è poca umanità, si pensa sempre a voler vincere, manca la gioia. Questa io credo sia la svolta per un cambiamento della Chiesa oggi, perché se non ritrovi l’umanità con le persone, se non dai loro una gioia, la gioia del Vangelo, la leggerezza del Vangelo, la naturalezza del Vangelo - e non c’è da vincere nulla, non c’è bisogno di avere tanta gente, di seguire il numero, ma seguire la qualità - non si arriva da nessuna parte.

 

Ci aiuti a declinare la vita interiore? Come aiutare i fratelli a riscoprire la vita interiore?

 

Questa generazione è molto demoniaca: il demonio è colui che separa e quindi abbiamo separato la religione dalla religiosità della vita dalla vita, abbiamo la spiritualità dell’umano, abbiamo separato l’interiorità dall’esteriorità, l’apparenza rispetto ai contenuti: il problema è tutto lì. Abbiamo separato ciò che non c’è bisogno di separare, ciò che è già  unito, già è profondamente dentro di noi. È chiaro che bisogna aiutare le persone ad essere vere, sincere, a non nascondersi, a non aver bisogno di apparire, ma a dire quello che si è. Per cui non ci sarebbe più bisogno di separare il cielo dalla terra, la spiritualità dall’umano: è un tutt’uno.

Ultimamente dico che l’unica salvezza è diventare monaci nelle città, monaco non vuol dire isolato, ma unificato. Per salvarmi da questo manicomio di ritmi da matti che si vive e cosa faccio: ogni giorno, come i monaci - la bellezza dei monaci è ogni giorno, la quotidianità -, cerco di regalare mezz’ora alla mente, prendo un libro, leggo al massimo venti pagine, sottolineo due righe e le "mastico". Mezz’ora cammino e mezz’ora sto in silenzio perché per me il silenzio è cento volte più potente delle parole; perché questi ritmi hanno separato mente, corpo e anima. In questo modo ritorni unificato.

Io amo l’armonia. L’armonia vuol dire un più e un meno che danza insieme, il cielo e la terra che danzano insieme, l’interiorità con l’esteriorità. Altrimenti il rischio è di vivere uno sdoppiamento in cui c’è una vita spirituale da una parte, una vita umana degradata dall’altra. Invece tutto è sacro. Tutto è sacro o niente è sacro. È sacro fare da mangiare, sacro stare qui con voi ora, è sacro il fare la Messa… Perché dovrei dividere l’atteggiamento del fare la Messa o dello stare qui con voi: per me tutto è sacro. Non ho voglia di separare i due momenti. È sacro, ma lo pensava anche Gesù: in fondo per lui tutto era sacro, qualunque momento, qualunque attimo. Non separava l’ultima cena dal momento in cui stava a cena con gli altri o camminava con le persone o toccava un bambino.

Questa interiorità, secondo me, non va separata dal resto della vita e poi va custodita con la profondità. C’è una parte dentro di noi molto profonda che è molto divina. In ognuno di noi c’è molta incoerenza, ma c’è una parte che è un tesoro, che è bellissima: è solo da risvegliare quella parte che dorme dentro di te. L’interiorità vuol dire silenzio, vuol dire camminare, vuol dire alzare  gli occhi al cielo la mattina e vedere l’alba. Qualunque cosa mi richiama a questa profondità. Penso che le persone abbiamo bisogno di questa disciplina e di questo ascoltarsi profondamente. Il problema è come fare a farle ascoltare.

 

 

 

A cura di Rosanna Gagliano e Antonella Ruggeri