TUTTI SANTI, TUTTI FRATELLI

TUTTI SANTI,TUTTI FRATELLI

 

Promossi dal Movimento Pro Sanctitate tre giorni di studio sulla rivoluzione dell’amore

La direttrice Sechi: la santità è inscindibile dalla fraternità, si rivolge sempre agli altri

 

Prima delle aureole nei dipinti, hanno avuto le maniche della camicia arrotolate, il coraggio di abbassarsi all'altezza dei piccoli, l'umiltà di alzare gli occhi al cielo per trovare la forza di sollevare chi fa più fatica quaggiù. Sulla terra. I santi ci raccontano che per diventarlo la strada passa attraverso i gesti della vita quotidiana. Un cammino anche difficile, spesso molto duro ma che tutti sono in grado di percorrere. Perché la santità è la più democratica delle chiamate, non fa distinzione di età, sesso, estrazione sociale. Dio vuole tutti nel suo cielo e a ognuno, nessuno escluso, regala il "navigatore" della preghiera e offre l'equipaggiamento, di amore e servizio, per arrivarci. Ecco allora l'importanza e insieme la bellezza di mettersi in ascolto delle storie di bene e di chi le ha vissute. Come hanno fatto i partecipanti alla tre giorni, da venerdì a domenica scorsa, promossa dal Movimento Pro Sanctitate, riuniti intorno al tema "L'amore è rivoluzione", strettamente collegato al motto dell'esperienza nata dal carisma di monsignor Guglielmo  Giaquinta: "Tutti santi, tutti fratelli". Il Convegno nazionale è stato infatti anche un modo per riflettere su se stessi e sui progetti di futuro. «Il primo obiettivo - spiega Nicoletta Sechi direttore nazionale del Movimento "Pro Sanctitate" - era ridirci qual è la nostra identità, andare al cuore del messaggio che ci ha lasciato il fondatore. Che cioè per diventare santi non dobbiamo trovare un' altra natura, diversa da quelle che è già impressa in noi. Il nostro fondatore diceva che la santità non è lo sviluppo di una costruzione religiosa, non ha una scadenza cronologica, non è la conclusione di un percorso».

 

Siamo però tutti differenti.  Si tratta di capire qual è la tua personale santità, la misura nuova di Dio in te, dentro cui, si può dire, c'è anche una contromisura. In questo sta il legame con la rivoluzione citata nel titolo del convegno. Il  santo, ha detto padre Giulio Albanese al convegno, è sempre un disallineato. Quanto al comprendere chi sono gli attori di questa rivoluzione, ci aiutano la Lumen gentium con il capitolo sull'universale vocazione alla santità nella Chiesa e la Gaudete et exsultate

Tutti possono essere santi, partendo da dove sono, da quel che fanno...

Madri, coppie di genitori, pa-stori che vivono bene il loro ministero, politici che aiutano i loro concittadini a progredire in campo sociale. Si tratta innanzitutto di potenziare la propria umanità. Molto umani per essere santi. Come movimento abbiamo di recente realizzato una mostra sui volti della santità, guardando a figure note e meno note da Madeleine Delbrêl a Giuseppe Lazzati, da Carlo Urbani a Chiara Corbella, anche al convegno eravamo circondati da questi pannelli con i loro visi e le loro frasi. Cos'hanno fatto  queste persone? Hanno vissuto fortemente la loro umanità, spesso controcorrente, dando una testimonianza di fede sempre coerente, sempre rivolta agli altri.

Ma quali sono le componenti di quella che lei ha chiamato rivoluzione?

Nel mio intervento del primo giorno ho citato il fondatore. Lui parlava di caratteristiche ben precise: per esempio la novità di vita, l'universalità di visione (tutto ti appartiene e ti riguarda anche se non tocca direttamente la tua vita), l'ampiezza di respiro, la concretezza nell'agire, la donazione immediata e non differita, un'azione sociale a tutti i livelli, la valorizzazione dei talenti. Elementi, penso in particolare all'universalità di visione, che sono già un programma di vita. 

 

 

Universalità di visione significa anche che non ci si può chiudere in se stessi.

La santità ha un legame inscindibile con la fraternità. È un altro aspetto del nostro carisma. Il rischio altrimenti sarebbe che il movimento si spostasse tutto sul lato della spiritualità. Noi siamo figli ma anche fratelli, non solo individualmente ma anche socialmente, nelle realtà dove agiamo, dove dobbiamo portare una testimonianza che non possa essere equivocata. La rivoluzione della santità è attuata per sé ma soprattutto per gli altri..

Come non ci si salva così non si diventa santi da soli..

Esatto. A questo proposito abbiamo esplorato cinque figure, abbiamo avuto con noi familiari e amici di cinque testimoni della fede.

 

Le avete chiamate officine della santità. Perché?

Officine perché è come se uno che è stato più vicino a un testimone della fede ti potesse fornire degli strumenti per Iavorarci e capire chi sono stati. Per esempio, cos'ha fatto don Oreste Benzi per la Chiesa e la società? Certo, liberava le prostitute dalla strada ma il suo non era solo volontariato sociale, voleva far loro capire che erano figlie di Dio. E, ancora, come ha vissuto Chiara Corbella Petrillo la morte dei primi due figli? Si tratta cioè di avere degli strumenti, in questo caso offerti da familiari e amici di testimoni della fede per

capire quanto ciascuno di noi possieda di questa "strumentazione" e come la usiamo. Ma le officine servono anche a capire gli aspetti particolare di quelle vite. Qualcuno infatti ha abitato di più un ambiente come la famiglia, altri hanno sottolineato maggiormente l'aspetto professionale.

Il vostro carisma, il vostro obiettivo di fondo, il messaggio del vostro fondatore è "Tutti santi, tutti fratelli".

Esatto. Il nostro messaggio è che tutti siamo chiamati a diventare santi, che questo cammino in realtà non è la costruzione di un perfezionamento della vita di fede e non arriva da ultimo, non è semplicemente una meta della vita cristiana, ma è, per dirla con Giovanni Paolo II, la "misura alta". Occorre quindi lasciare la mediocrità per tentare di vivere al massimo la propria vita di fede e di relazione, là dove ciascuno è. Un cammino impossibile da soli. La vicinanza a Dio ci porta per forza vicino al fratello.

 

articolo trascritto integralmente in formato digitale

 

Fonte : “AVVENIRE” del 3 dicembre 2019, articolo di Riccardo MACCIONI

 

le immagini del convegno