Lo scontro sulla comunicazione e la conseguente demonizzazione della tecnologia continuano anche oggi. Alcuni vorrebbero attribuirne la responsabilità alla Chiesa. Al contrario, la Chiesa ha dato
prova di riconoscere le potenzialità e la vocazione dei nuovi canali di comunicazione. (leggi su w2.vatican.va)
Ne è una prova il recente messaggio per la 53a Giornata delle Comunicazioni Sociali. In questo, Papa Francesco sottolinea
come la comunicazione sia relazione. Non a caso, etimologicamente, ritroviamo la stessa radice di com-unione e con-divisione: si tratta di qualcosa che si mette in comune. Non si possono certo
nascondere i rischi che la pervasività di Internet porta con sé, ne sono esempi la disinformazione (le fake news) e il cyberbullismo. Ma Francesco ci ricorda che la rete è “solo” uno
strumento, neutro per definizione: non può essere, in sé, buono o cattivo ma assume la connotazione dello scopo e delle modalità con cui si utilizza.
La tecnologia è uno strumento complesso, fatto di tanti e diversi nodi, cioè le persone che, a loro volta, costituiscono una comunità (o community se restiamo nel linguaggio del mondo virtuale).
Questa comunità è salda ed è sana solo se alimentata da tre attitudini di base: volontà di ascolto, desiderio di dialogo e senso di responsabilità. Sì, perché, se non si può non comunicare, allora siamo chiamati a comunicare bene!
La corretta informazione, prima, e la corretta comunicazione poi, sono doveri dei singoli e sono dei processi biunivoci, che si devono attivare cioè nei due momenti fondamentali della comunicazione: nella emissione e nella decodifica del messaggio comunicativo. Abbiamo dunque la responsabilità di mandare un messaggio corretto ed etico, ma anche la responsabilità di non discernere di fronte a un messaggio che, magari verosimile o seducente, non si rivela veritiero o rispettoso della dignità della persona.
L’invito che ci fa il Papa è ad un “uso positivo” dello strumento tecnologico, un uso che sappia “andare oltre”: oltre la contrapposizione che vuole definire le identità, oltre gli stereotipi e i pregiudizi che limitano la rete creando gruppi chiusi, oltre i limiti fisici del messaggio stesso, avendo come meta l’accoglienza della persona nella sua totalità. Non solo, Francesco ci spinge ad andare oltre noi stessi: oltre l’utilizzo della rete come scudo per isolarci e per creare una realtà in cui non c’è incontro profondo con la persona. Al contrario, mettere comunicazione (e in comune) implica per prima cosa mettere “in gioco” noi stessi nell’incontro con l’altro.
D’altronde, ci ricorda il Pontefice, la “nostra identità [di cristiani NdA] è fondata sulla comunione e sull’alterità”. Comunione che è comunicazione, fede che è incontro e relazione sono tutti tratti importanti del nostro credo in un Dio che non a caso è Trinità! Arrivare alla persona, oltre il messaggio, richiede la profondità dello sguardo, lo “sguardo di inclusione che impariamo da Cristo”. Solo partendo da questi presupposti si può arrivare a una accoglienza totale dell’altro, virtuale prima e di persona poi, e a una comunione che rende davvero autentica e positiva la società in cui viviamo.
Giovanna Sedda