Padre Pino Puglisi: Dare speranza a chiunque chiede segni di amore
Pomeriggio davvero speciale nella sede del Movimento Pro Sanctitate di Palermo dove, nella cornice degli incontri "Testimoni di speranza nella città", domenica 31 marzo abbiamo avuto la gioia di accogliere Giuseppe Carini, uno dei giovani di Brancaccio che don Pino Puglisi ha strappato alla mafia e che è diventato suo prezioso collaboratore. La sua toccante testimonianza su Puglisi, le conseguenze che quell’incontro ha generato nella sua vita hanno dato concretezza alla parola speranza e ne hanno fatto affiorare il significato più profondo.
Giuseppe Carini, è oggi un Testimone di Giustizia, vive sotto protezione in una località sconosciuta, con un altro nome e un altra vita. Perché? Ce lo racconta lui stesso. Nasce a Brancaccio da una famiglia che ha stretti legami con Cosa Nostra. La sua aspirazione è diventare come quegli uomini d’onore (o meglio di disonore come si affretta a precisare) che attraversano le strade del suo quartiere, che detengono il potere sul mandamento di Brancaccio, Croce Verde, Ciaculli. Poi arriva nella parrocchia di Brancaccio, Don Pino Puglisi e la vita di Giuseppe comincia piano piano a cambiare. Un grande travaglio lo attraversa, è diviso tra gli amici di sempre, mafiosi e parenti di mafiosi, e i giovani della parrocchia, che non gli chiedono nulla, se non un po’ del suo tempo. Il prete diventa presto un amico, un confidente, un padre. Gli orizzonti si aprono: Giuseppe non sa più cosa vuole essere, e si sente in colpa, quasi un traditore della sua gente, della sua famiglia. Però il richiamo di qualcosa di più grande insiste nel suo cuore. La mattina del 15 settembre 1993 correrà all’Istituto di Medicina Legale e sarà tra i primi a vedere il corpo di Padre Puglisi, freddato la sera precedente con un colpo di pistola alla nuca. La morte di Puglisi poteva segnare la fine del cammino di Giuseppe, invece diventa l’inizio di una vita nuova. Carini “parla”, racconta al giudice delle indagini preliminari tutto quello che sa, dichiara che i mandanti dell’omicidio di Puglisi sono i fratelli Graviano (che saranno poi arrestati a Milano e non è un caso!). Da quel momento la sua vita è in grave pericolo, entra nel programma di protezione ed è costretto a lasciare la sua terra; da allora, quasi 25 anni, non vive più a Palermo.
È difficile, vi assicuro, trasmette l’intensità del racconto di Giuseppe, l’emozione suscitata in tutti i presenti.
Il pomeriggio è stato, inoltre, arricchito dalle testimonianze di alcuni amici e collaboratori di Don Pino: Giusi Caldarella, che lo ha conosciuto nel periodo in cui Puglisi fu giovane parroco a Godrano e che poi ha con lui collaborato durante gli anni di Brancaccio, Rosaria Cascio alunna del Vittorio Emanuele II, Pino Martinez, componente del Comitato Intercondominiale di Brancaccio, anche lui amico e stretto collaboratore.
Prezioso l’intervento dell’avvocato Katia La Barbera, da sempre al fianco della associazione nazionale dei testimoni di giustizia, che ci ha parlato dello status dei Testimoni di Giustizia e della confusione che a volte si genera confondendoli con i collaboratori di Giustizia. Ha concluso l’incontro Don Salvatore Di Cristina, ricordando ai partecipanti che la santità di don Pino Puglisi scaturiva dal suo amore per Gesù e si traduceva nell’aiuto concreto ai fratelli a partire dai loro bisogni. A Brancaccio, questi, consistevano nella richiesta di servizi essenziali: dalla scuola al consultorio, dalle fognature alle strade. Per questo Puglisi si batteva accanto alla gente comune. Aveva, inoltre, capito che bisognava partire dai bambini, per togliere manovalanza alla mafia, per seminare speranza e contribuire al futuro di Brancaccio… e non solo!
Santina Mitra