A due mesi dalla pubblicazione del Documento finale del Sinodo 2018 su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, pubblichiamo un commento di Mons. Di Cristina, Consulente nazionale del Movimento Pro Sanctitate.
Il Documento finale del Sinodo dei Vescovi dello scorso ottobre 2018 apre sull’onda emotiva suscitata nei Vescovi stessi dall’esperienza assolutamente unica della presenza dei giovani durante i loro lavori. «Abbiamo camminato insieme, con il successore di Pietro che ci ha confermato nella fede… Abbiamo lavorato insieme, condividendo ciò che ci stava più a cuore… La presenza dei giovani ha segnato una novità: attraverso di loro è risuonata nel Sinodo la voce di tutta una generazione…» (2). Da qui, sul richiamo all’icona pasquale dei Discepoli di Emmaus, prende il via l’idea madre del Documento: quella che vede in Gesù il modello del cammino della Chiesa accanto alle giovani generazioni (4). Come Gesù, fattosi «giovane con i giovani per divenire esempio per i giovani e consacrarli al Signore» (il tratto riprende un bel passaggio di S. Ireneo), anche la Chiesa, imparando da Lui saprà «cogliere al meglio la benedizione della giovinezza» (63). Il cammino dei pastori della Chiesa con i giovani, ma anche dei laici per ciò qualificati, comincerà dunque dall’ascolto dei giovani: un ascolto delle loro domande che, come quelle dei discepoli di Emmaus, la Chiesa stessa saprà opportunamente suscitare, consapevole del desiderio che i giovani stessi hanno di essere ascoltati (6). E sarà un cammino animato fin dapprincipio da un sì aperto verso un futuro, un compito e una meta che, seppure inizialmente non chiari, appariranno presto rischiarati dalla «logica vocazionale» (72).
Il tema della vocazione costituisce in effetti il cuore stesso del Documento, a cominciare dalla vocazione fondamentale, quella alla santità, che è insita nella stessa volontà creatrice di Dio e che riguarda in forme proprie ogni essere umano. La vocazione vi è presentata come «mistero» sotto due aspetti tra loro connessi. Sotto il primo aspetto “mistero” definisce ciò che ha intima ed esclusiva relazione con Dio: di fatto questo è il suo significato più proprio. La vocazione in questo senso è mistero perché esprime la imperscrutabile volontà di Dio su un uomo, sua creatura e figlio; parliamo perciò di vocazione a partire da Dio che chiama. Sotto il secondo aspetto la vocazione è detta “mistero” avendo piuttosto presente l’uomo in quanto chiamato da Dio. E qui entrano in gioco sia la capacità dell’uomo di comprendere e discernere la “chiamata” sia la libera sua volontà di accoglierla. La parola “mistero” a questo punto considera le difficoltà insite nell’idea stessa di “vocazione”, intesa nel senso appena detto, ma anche il faticoso processo storico per il quale il “chiamato” perviene alla comprensione e all’accoglienza della vocazione. Si tratta in realtà di difficoltà non superabili con i soli mezzi offerti dalla natura e che solo con il concorso della grazia divina il chiamato saprà risolvere: un concorso di grazia e natura che, come tale, fa parte del mistero (77-78).
Rientra nella logica vocazionale, cui sopra si accennava, la dimensione comunitaria del fenomeno della vocazione. Si tratta di una dimensione che è intimamente reclamata dalla natura relazionale della persona umana e, ancor prima, dalla natura trinitaria di Colui che chiama, ossia il Dio Amore (agápê: 1Gv 4,8). In forza di ciò quello a cui e per cui Dio chiama la sua creatura – a cominciare dalla sua chiamata alla santità – avrà necessariamente a che fare con la logica dell’amore. Come afferma il Documento, la vocazione si trova collocata per se stessa dentro «un dinamismo comunitario di uscita e di dialogo» (127). Essa non è mai qualcosa riguardante il chiamato in senso individualistico: secondo modi, tempi, misure e competenze diverse, essa interessa sempre la Chiesa nel suo insieme e la comunità umana come tale. Dal punto di vista cristiano nessun uomo realizzerà veramente e pienamente se stesso se non secondo questa logica, a matrice trinitaria, dell’autodonazione in “dinamismo comunitario”.
Si impernia su questa logica lo stile sinodale tipico dell’agire ecclesiale, uno stile da favorire e acquisire sempre nuovamente (124) e che, per quel che riguarda il discernimento vocazionale e i suoi processi formativi, si traduce nella prassi dell’“accompagnamento”. Di tale prassi il Documento parla come di una vera e propria “missione” della Chiesa, nella quale, in particolare nei confronti dei giovani in ricerca del proprio ruolo nel mondo, sono in primo luogo impegnati i familiari e i diretti educatori, ma anche altri, uomini e donne della comunità ecclesiale, con compiti e competenze diverse, ma tutti nell’atteggiamento di chi sa farsi umile e amorevole compagno di strada (91-103). A riguarda il Documento sollecita una sorta di conversione che porti a vedere nella dimensione vocazionale, tanto decisiva per la vita di ogni uomo e della società, «un principio unificante di tutta la pastorale» (139).
Tappa fondamentale del cammino vocazionale è il «discernimento». Il termine, nel caso della vocazione, «richiama l’attenzione a quanto avviene nel cuore di ogni uomo e di ogni donna» (106). In questo sacrario dell’uomo, che il Concilio seguendo San Paolo chiama anche coscienza, «si coglie il frutto dell’incontro e della comunione con il Cristo: una trasformazione salvifica e l’accoglienza di una nuova libertà» (107). È in questa condizione trasformante che l’uomo e la donna saranno in grado, con la grazia di Dio, di riconoscere la loro vera identità dentro il progetto divino. A tu per tu con la propria coscienza – vero «nucleo segreto dove l’uomo è solo con Dio e ne ascolta la voce che risuona nell’intimità» (GS 16) –, essi diverranno i primi testimoni del loro stesso faticoso discernimento.
Ma di questa fatica, vissuta in clima di fede e di amore, essi non saranno i soli testimoni. Entra infatti in scena a questo punto un aspetto decisivo dell’accompagnamento ecclesiale, quello relativo alla formazione del chiamato, che dà in effetti concretezza allo stesso accompagnamento. I Vescovi ne trattano in diversi punti del Documento, sostenendo il suo esser parte integrante della missione della Chiesa (15) e sottolineandone la rilevanza quale aspetto necessario dell’accompagnamento vocazionale (16). Naturalmente il Documento riconosce l’imprescindibile importanza dell’autoformazione, a cominciare dalla formazione della propria coscienza (108), sebbene non sminuisca l’importanza del contributo che, soprattutto nel momento del discernimento, dovrà venire alla coscienza credente dall’accompagnamento fraterno, addirittura nella forma tradizionale della guida spirituale (112). In concreto si tratterà di accompagnare il chiamato nella ricerca della familiarità con il Signore, lungo un cammino di progressiva purificazione e apertura del cuore a Lui (111).
Con la grazia di Dio e la buona volontà del chiamato, il cammino formativo – che potrà anche vedere moltiplicarsi i formatori diversamente competenti – sfocerà un giorno nel discernimento dello stato di vita… della speciale consacrazione… dell’orientamento professionale…
Di esso quel giorno diverrà testimone insieme con lui di fronte alla Chiesa chi, con la veste del formatore cristianamente consapevole, avrà camminato amorevolmente accanto al cercatore della volontà di Dio su di sé. E avendo condiviso il suo cammino di ricerca – già cammino di santità esso stesso – egli avrà anche puntato sulla medesima direzione il suo proprio cammino.
Mons. Salvatore Di Cristina
Consulente nazionale Movimento Pro Sanctitate
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