In occasione della Visita del Papa a Palermo, Alessandra Turrisi, per le pagine di Avvenire, ha intervistato Mons. Salvatore di Cristina, Vescovo emerito di monreale, Consulente Ecclesiastico Nazionale del Movimento Pro Sanctitate, compagno di studi e di strada di Padre Pino Puglisi.
«Il vertice della Chiesa viene a onorare un figlio così modesto, perfino nel vestire, vissuto nella povertà. Segno della grandezza di questo sacerdote, ma anche di una Chiesa che sa mettere i valori al loro posto».
È commosso monsignor Salvatore Di Cristina, 81 anni, arcivescovo emerito di Monreale e per diversi anni preside della Facoltà teologica di Sicilia. Sabato sarà accanto a papa Francesco tra i concelebranti principali (assieme ai cardinali De Giorgi, Romeo e Montenegro e agli arcivescovi Lorefice e Gristina) in quanto compagno di ordinazione presbiterale di don Pino Puglisi.
Quel ragazzino conosciuto a 16 anni sui banchi di scuola, riservato e cordiale insieme, amante delle barzellette e «innamorato» dei giovani, adesso è un beato martire della Chiesa universale e, per monsignor Di Cristina, essergli stato amico «è davvero un privilegio». Ordinati sacerdoti dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960, nel santuario della Madonna dei Rimedi, Puglisi e Di Cristina, in realtà, non si allontanarono mai. Anzi, i casi della vita li vollero quasi «in staffetta» in vari momenti del loro ministero.
Cosa ricorda della vostra amicizia?
«Per me fu un dono e una sorpresa il suo arrivo in prima liceo (terzo anno del liceo classico, ndr) in Seminario. Ci accorgemmo subito che si trattava di un buon acquisto. Pino era sorridente e accogliente, aveva uno sguardo intelligente. Ci avvicinammo molto quando entrambi avevamo l’incarico di “prefettini”(ragazzi più grandi responsabili dei più piccoli, ndr) al Seminario minore. La sera ci scambiavamo le nostre impressioni. Aveva una capacità straordinaria di stare con i ragazzi. Fummo ordinati insieme, io quindici secondi prima di lui, così, scherzando, gli dicevo che mi doveva rispetto, perché ero il prete più anziano».
Da sacerdoti trovaste il modo per collaborare?
«Dall’ordinazione in poi io rimasi insegnare. Quando diventai gestore della scuola media, volli don Pino a insegnare matematica. Durante il periodo di Godrano, negli anni Settanta, andai a trovarlo tante volte: lo ricordo con i geloni che quasi lo facevano piangere, c’era una situazione difficile in paese, quasi ostile, dovette lavorare molto e con fatica. Poi le cose cambiarono, grazie al suo impegno. Fui io a suggerire il suo nome al cardinale Salvatore Pappalardo come mio successore al Centro diocesano vocazioni e don Pino prese il mio posto pure come docente di religione al liceo classico Vittorio Emanuele II. Certe volte ci vedevamo al Baby Luna per parlare davanti a una pizza».
Poi l’arrivo a Brancaccio.
«Non mi parlò mai dei problemi che aveva a Brancaccio. Volle intitolare il centro al Padre nostro perché fosse chiaro che il Padre non è il “padrino”. Non era un prete antimafia, era un prete che faceva il prete sul serio, amava molto le persone che incontrava, aveva un atteggiamento pastorale anche nei confronti dei mafiosi. Quando si recò nei magazzini di via Hazon, quando tenne la famosa omelia in cui invitava i responsabili degli attentati a incontrarlo, non lo fece per sfidare i mafiosi, ma per avviare un confronto, un dialogo, per fare breccia».
Come apprese dell’omicidio?
«Lo seppi di notte, mi chiamò don Pietro Magro e rimasi di ghiaccio. All’alba, andai al Policlinico, in medicina legale, ero inebetito. Non potevo credere che fosse finita così. È un martire cristiano perché prete, che si era già consegnato al Signore. Leggendo i suoi scritti si capisce che si aspettava davvero di potere essere ucciso. Ha messo in gioco la sua vita per affermare che ciò che è contro il Vangelo non può essere in nessun modo, anche solo col silenzio, avallato».
Don Puglisi ora è martire. Le capita di rivolgersi a lui?
«Nella mia cappellina, in casa, ho una sua reliquia e una sua immagine. Spesso mi intrattengo con Pino: mi faccio una lunga chiacchierata con lui come ai vecchi tempi...».
fonte: Avvenire