La fraternità è una categoria culturale che investe i vari campi della scienza e delle attività umane e si concretizza nella comunione spontanea di beni materiali (denaro, case, mezzi) e immateriali (tempo, capacità intellettuali, conoscenze).
Se poi parliamo di “fraternità spirituale” entriamo nel progetto di Dio in modo concreto: un modo di vivere e un “sapere” costruitosi nella tradizione della Chiesa, una fraternità che consente alle persone che sono eguali fra loro di essere persone diverse, aperte a dare secondo la diversità della loro specifica vocazione.
La nostra Famiglia Apostolica desidera essere una piccolissima parabola di comunione e di fraternità. Con la nostra vita cerchiamo di esprimere che Cristo è venuto ad abolire le divisioni tra gli uomini per unirli a Dio.
Anche se la nostra preghiera è molto povera, talvolta solo un balbettio o un sospiro, siamo certi che Dio sa ascoltarci. In un mondo in cui siamo sovente sconcertati dalle violenze, vorremmo resistere alla paura con il coraggio di essere supportati da Gesu’, nostro Fratello Universale.
Dio ci manda verso gli altri, verso coloro che sono diversi da noi, verso quelli che soffrono, per creare l’amicizia e la fraternità. E al medesimo tempo Dio apre i nostri occhi per vedere le strutture d’ingiustizia e d’ipocrisia nel mondo.
La fraternità, per potersi estendere, ha bisogno di strutture politiche ed economiche. Sul piano locale, come sul piano internazionale, abbiamo bisogno di donne e uomini che trovino il coraggio di assumere la fraternità come bussola del loro impegno politico.
La fraternità inizia con l’ascolto dell’altro. Potremmo cominciare a riconoscere i rifugiati e i rifiutati vivendo con loro, con gioia profonda, un cammino insieme.
Sapremo cosi’ superare l’abbaglio della prosperità infinita, che è una illusione e produce i milioni di poveri che vivono nelle nostre società. Una povertà involontaria, quella che purtroppo attanaglia ancora diversi miliardi di persone nel mondo, e non una povertà volontaria, come quella scelta liberamente nell’ambito della vita religiosa.
Nella storia del cristianesimo, il denaro e la ricchezza non sono mai stati condannati in sé, ma solo per la loro idolatria che conduce a compiere atti socialmente distorsivi verso la comunità e il suo bene.
La ricchezza è un dono di Dio quando è usata in modo civile e virtuoso.
Nel tempo presente, dove la ricchezza attraverso un’indebita sostituzione tra mezzi e fini, è divenuta per molti il fine dell’esistenza, dovremmo riconsiderare la sua giusta subordinazione. Essa ha valore solo in quanto “utile”, cioè in funzione di altro, del bene della comunità e non di una esigua élite, sempre più circoscritta.
Per questo sono necessari percorsi formativi, volti alla costruzione di una cultura meno autoreferenziale e dispotica, aperta alla partecipazione, alla condivisione, e rispettosa della stessa terra.
Non potremo più identificarci con il modello antropologico dell’individualismo utilitaristico, dove non c’è spazio per l’altro, ma dovremo adoperarci per edificare la società su un modello capace di superare questi limiti.
A ciò potrebbe rispondere il principio di fraternità.
Tale principio è invocato sia in ambito laico che confessionale. Sul versante laico è la stessa Dichiarazione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite ad auspicarne l’attuazione: “Tutti gli uomini nascono liberi e uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fraternità”.
A livello confessionale, invece, la dimensione fraterna attraversa l’intera Rivelazione e il Concilio Vaticano II, nella costituzione “Gaudium et spes”, al numero 24, la richiama con forza, ricordando che Dio “ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero fra loro con animo di fratelli”. Nella sua predicazione Gesù ha espressamente indicato ai figli di Dio che vivessero da fratelli e ha comandato agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte le genti, affinché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, edificata sulla legge dell’amore.
In questo nostro tempo, la celerità dei mutamenti, il loro influsso sulla vita, sulle conoscenze e sulla cultura, sono tali da prevedere un nuovo tipo di società, con valori e assetti socio-politici al momento inimmaginabili.
Possiamo solo pensare che nuove realtà debbano sostenere e aiutare ogni essere umano e tutto l’essere umano. L’unità-fraternità vissuta potrà essere un grande sostegno.
Riavviare la presenza simultanea di unità e fraternità non è solo importante, ma necessario, perché l’unità ben concepita rafforza e realizza una sana simbiosi fra le parti della relazione, pur mantenendole distinte. La distinzione, a sua volta, sottolinea, preserva e tutela l’identità di ciascuno, impedendo ogni assorbimento, dipendenza o sottomissione, e allo stesso tempo mantenendola nell’unità.
Si può quindi dire che, nella relazione fraterna, la profondità dei rapporti e dei sentimenti di stima, affetto e fiducia, resi universali, compongono relazioni di comunione in grado di ispirare, nella realtà sociale, a tutti i livelli, una tensione all’armonia che favorisce progresso e sviluppo di notevole portata.
Occorre ricordare, a modello delle relazioni tra gli uomini, la preghiera di Cristo prima del suo avviarsi alla passione e alla morte:
“Perché tutti siano una sola cosa.
Come tu, Padre, sei in me e io sono in te, siano anch’essi una cosa sola in noi” (Gv 17,21).
Piero Z. Saffirio
Associazione Ecclesiale Animatori Sociali