Il lavoro è uno dei problemi principali della nostra realtà sociale; è al centro dell’attenzione collettiva del Paese che si concentra essenzialmente sui numeri, sul tasso di disoccupazione e sui dati economici ma serve uno sforzo ulteriore per comprendere più profondamente la realtà attuale del mondo del lavoro.
Nell'editoriale di gennaio 2017 della Rivista Aggiornamenti Sociali, il Direttore, Giacomo Costa, affronta il tema del lavoro e avvia così una riflessione sul percorso che condurrà alla 48° ettimana sociale dei cattolici italiani prevista a Cagliari nel mese di ottobre 2017 intitolata Il lavoro che vogliamo: libero, creativo, partecipativo e solidale (Evangelii Gaudium 192).
SI parte dall'analisi delle sfide attuali in tema di tutele dei diritti e della sicurezza di chi lavora, dell’inclusione e protezione di chi un lavoro l’ha perso o non riesce a trovarlo cercando di soffermarsi; si concentra più che sull’aspetto strettamente economico, sul tema dei mutamenti radicali che il mondo del lavoro sta attraversando e che lo allontanano dall’impianto logico e ideologico novecentesco, ancora ben presente nell’immaginario collettivo.
Proviamo ad evidenziare quattro tra gli snodi più significativi per una riflessione sul lavoro:
1) l’impatto dell’innovazione tecnologica,
2) la dimensione sociale del lavoro,
3) le contraddizioni del settore informale,
4) la questione del senso del lavoro.
Dopo la rivoluzione industriale del XIX secolo con l’avvento del carbone e della macchina a vapore, dopo lo sfruttamento del petrolio e la produzione di massa del secondo dopoguerrra e dopo l’evoluzione delle tecnologie dell’informazione e dell’automazione con l’utilizzo di Internet, siamo giunti alla quarta rivoluzione industriale caratterizzata dagli sviluppi nel campo dell’intelligenza artificiale, della stampa a tre dimensioni e dalle nanotecnologie e biotecnologie.
Queste macchine sempre più sofisticate capaci di apprendere dalla propria esperienza (Artificial Intelligence) e in grado di analizzare istantaneamente masse inverosimili di dati (Big Data) stanno trasformando completamente il mondo del lavoro.
Si amplierà l’impiego di macchine al posto dei lavoratori anche in settori tradizionali (traduzione automatica, guida senza conducente, diagnosi mediche automatizzate a distanza, commercio e distribuzione).
Sarà anche spinta la personalizzazione dei prodotti in base alle esigenze del cliente e si produrrà quindi sempre più ‘on demand’.
Sta quindi crescendo la pressione perché anche i lavoratori accettino questa logica uscendo da un modello basato su prestazioni lavorative continuative a favore di un impiego che renda più flessibile la frontiera netta tra tempo di lavoro e di non lavoro.
E’ uno scenario piuttosto inquietante ma pensare di bloccare le innovazioni che portano benefici al consumatore è praticamente impossibile nel medio-lungo periodo.
Occorre chiedersi a questo punto come governare e orientare questo processo che resta ancora aperto a esiti diversi. Papa Francesco ci ricorda nella Laudato si’ che “i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani e che rinunciare a investire sulle persone per ottenere un maggiore profitto immediato è un pessimo affare per la società”.
Un tempo la fabbrica metteva in risalto la dimensione collettiva e sociale del lavoro; ora la parcellizzazione della produzione e il prevalere di una cultura individualista hanno indebolito la percezione del carattere sociale del lavoro.
In questo nuovo scenario occorre rianalizzare alcune pratiche della nostra società: il welfare universale soppiantato da quello di comunità o aziendale che rischia di portare a disuguaglianze ed esclusioni, le forme di solidarietà fondate sulla partecipazione alla produzione di ricchezza, la promozione di luoghi di lavoro accoglienti e inclusivi per permettere una migliore conciliazione tra vita lavorativa e personale.
Il settore informale comprende quei lavoratori teoricamente indipendenti ma in realtà spesso in relazione di dipendenza nei confronti di coloro che li pagano; tra essi si annoverano lavoratori a domicilio, ambulanti, addetti a servizi di pulizia e ai trasporti, artigiani, collaboratori domestici, contadini senza terra, impiegati per l’introduzione e il trattamento dei dati informatici.
Per essi l’informalità coincide spesso con la precarietà e un certo grado di esclusione e purtroppo il fenomeno riguarda circa 3 dei 7 miliardi di abitanti del pianeta e inoltre oggi le differenze tra lavoro formale e informale vanno sempre più assottigliandosi.
Il settore informale avrebbe la potenzialità di diventare il laboratorio di una economia morale e solidale radicata nei diversi contesti territoriali in cui potrebbe emergere più facilmente l’innovazione sociale.
E’ necessario però che tale settore non venga trasformato in una sorta di ghetto per cittadini di seconda categoria.
Oltre l’analisi delle varie forme di lavoro occorre infine chiedersi a quale scopo lavoriamo e a quali criteri e valori si ispira il nostro lavoro.
Pensiamo spesso che la remunerazione economica sia l’elemento costitutivo del lavoro dimenticando che qualsiasi attività che prevede la trasformazione dell’esistente merita la qualifica di lavoro; quindi occorre riscoprire la dignità di tutti quegli impegni che trasformano la realtà pur escludendo una retribuzione economica.
In questa nuova ottica il lavoro diventa l’occasione per sperimentare libertà, creatività, realizzazione piena di sé riconoscendo che la trasformazione dell’esistente è da inserirsi sempre nella logica della cura della casa comune.
Tutto questo non è semplice.
Lo scenario globale è complesso e in continua, mutevole evoluzione.
Non esistono soluzioni immediate, né ricette precostituite.
Tuttavia tutti siamo interpellati a capire, conoscere, intelligere il tema del lavoro, nella concretezza delle sue forme e nel senso umano che lo abita, inteso come un investimento che permette di guadagnare, come singoli e come società, in dignità e inclusione, in gratuità, cura e libertà.
Franco Contino