Durante una partita di calcio di bambini di terza elementare, fuori dal campo si assiste ad uno spettacolo molto poco edificante: due coppie di genitori alzano la voce l'un l'altro per un fuorigioco dubbio. Volano parole pesanti, alcuni "adulti" si schierano sui diversi fronti, altri adulti intervengono per sedare gli animi. L'atmosfera resta tesa, si fa fatica a ritrovare la serenità, i ragazzi in campo hanno percepito qualcosa. Immaginano, pur non avendo compreso sino in fondo. Appaiono disorientati, distratti, nel gioco diventano più fragili....
Chi di noi non ha mai assistito direttamente o indirettamente ad una scena del genere?
Alcuni magari ricorderanno di esserne addirittura stati coinvolti...
Sarà per questo che un numero sempre maggiore di associazioni sportive (non solo calcistiche), ha riscontrato la necessità di stilare il Regolamento dei Genitori. Scorrendone i punti si trovano frasi che ad una prima lettura lasciano persino interdetti:
- Non tenete mai comportamenti scorretti e non utilizzate un linguaggio scurrile
- Condannate sempre e non cercate mai di giustificare comportamenti violenti o risse anche solo verbali.
Sembra assurdo dover mettere in un regolamento per genitori alcune norme che attengono l'agire civile di base, ma evidentemente risulta necessario quando la competizione assume i connotati della battaglia, quando l'incontro sportivo diventa scontro.
Forse perché gli adulti sono i primi ad aver dimenticato il potenziale educativo dello sport che, se ben vissuto, può essere una efficacissima scuola di vita. Una agenzia educativa al servizio del bene comune, una palestra in cui imparare a profondere impegno e determinazione, un'occasione per educare la volontà e crescere nella conoscenza di se stessi, delle proprie capacità e dei propri limiti.
Tutto questo, infatti, non è affatto scontato.
Luca Grion, docente di filosofia morale all'Università degli Studi di Udine, in un interessantissimo contributo pubblicato a Novembre dalla Rivista Aggiornamenti Sociali, analizza la dicotomia tra un ideale di sport inteso come occasione educativa alla quale affidare la maturazione dei propri figli e la prassi quotidiana imperniata sul cinismo della vittoria a tutti i costi.
Il professor Grion, apre una riflessione sul modello di riferimento che la nostra società propone e, nel contempo, sottolinea l'opportunità di riscoprire i valori fondamentali dello sport da vivere ogni giorno.
"Vincere non è la cosa più importante, è l’unica cosa che conta” questa famosa citazione di Giampiero Boniperti, ex calciatore e dirigente della juventus, la dice lunga sul modello di riferimento che la nostra società sembra offrire alle generazioni più giovani: la celebrazione dell’uomo di successo si coniuga con l’assoluto disinteresse per gli sconfitti e con la pericolosa tentazione di conseguire la vittoria ad ogni costo, anche con un aiutino o con qualche imbroglio.
Affermare che la vittoria non può essere l’unico valore dello sport non significa, però, sposare la tesi di quanti vedono nell’agonismo la radice di tutti i mali; al contrario, l’agonismo è un ingrediente fondamentale della pratica sportiva perché quando si gioca, si gioca per vincere.
E’ invece, ben più complesso il senso umano della pratica sportiva che non si esaurisce con il conseguimento o meno della vittoria ma comprende la sfida intelligente con i propri limiti, il coraggio di mettersi alla prova, l’umiltà di accettare le proprie debolezze, la solidarietà con i compagni di squadra e la lealtà con gli avversari.
Il filosofo canadese Bernard Suits definisce il ‘gioco’ un’attività nella quale ci si impegna liberamente nel tentativo di superare ostacoli non necessari per raggiungere un determinato obiettivo. Lo sport è un particolare modo di giocare in cui l’elemento fisico assume una valenza centrale e al valore della vittoria viene data un’importanza maggiore rispetto al gioco.
Secondo il filosofo ciò che cerchiamo realmente nello sport non sono tanto i risultati in se stessi, ma essenzialmente la maturazione della fiducia nelle nostre capacità fisiche e cognitive (senso di ‘autoefficacia’) per scoprirci migliori di quanto immaginavamo di essere.
La pratica sportiva dovrebbe insegnare ai nostri figli a diventare adulti nello sport e nella vita conquistando l’equilibrio interiore che contempera i diversi valori in gioco: il riconoscere ed apprezzare il senso della fatica, il saper vincere senza arroganza, l’imparare a perdere senza umiliazione, il senso della giustizia e il valore dell’onestà.
Tale equilibrio è veramente difficile e l’antica lezione delle virtù cardinali potrebbe aiutarci a raggiungerlo.
La fortezza è la virtù morale che, nelle avversità, consente di non mollare ben consapevoli del valore di ciò che si sta perseguendo; essa ritrova nello sport un luogo privilegiato in cui si può affinare la tenuta.
La temperanza, che modera l’attrattiva dei piaceri immediati, ha a che fare con la padronanza di sé e matura attraverso la pazienza e la rinuncia, indispensabili per il conseguimento dei risultati sportivi.
La giustizia significa, nello sport, riconoscere la superiorità dell’altro, onorare il merito e, quando occorre, accettare la sconfitta ben sapendo che questa riguarda semplicemente la prova nella quale ci si è messi in gioco e non il valore complessivo di ciò che si è. Essere giusti significa anche capire che cercare l’eccellenza non significa ambire alla perfezione, perché l’impegno profuso deve sempre accompagnarsi al diritto di sbagliare e alla possibilità di riprovarci.
Infine la prudenza che è la capacità di discernere ciò che rappresenta davvero il nostro vero bene, ci fa riconoscere anche il valore della buona trasgressione. Per esempio la fedeltà alle tabelle di allenamento è cosa buona ma occorre anche sapere quando è bene lasciar perdere perché in un determinato giorno occorre dare priorità ad altri aspetti della vita più importanti.
Ecco allora una piccola sfida per i genitori e gli educatori del terzo millennio...per l'ultima generazione che ricorda le virtù imparate a memoria al catechismo...
Una partita di calcio, una competizione ginnica, come una gara di atletica, possono essere campi di battaglia dove alimentare conflitti più o meno visibili o luoghi di condivisione di esperienze positive per tutti....esperienze positive comunque, al di là del risultato, del punteggio, della classifica.
Se gli adulti avranno la lungimiranza e l'umiltà di esercitare l'arte dell'equilibrio, se ritroveranno il coraggio e l'orgoglio di rimettere al centro il rispetto della persona, se sapranno insegnare a gioire senza beffeggiare, a perdere senza sentirsi sconfitti, a tenere duro senza per questo essere aggressivi...
...senza accorgersene avranno insegnato le virtù che oggi nessuno impara più a memoria e potranno godere la soddisfazione di aver mostrato ai propri figli come distinguersi sul serio.
Franco Contino