Ci sono mattine che iniziano male. Per me, il peggio del peggio, è quando non trovo la tazza con il cappuccino già pronta e, soprattutto, la mia dose di “fieste” (ma al plurale rimane fiesta o prende la e? mah….) quotidiana con cui addolcirmi un nuovo giorno….che poi una confezione da 10 è davvero poco per una famiglia! Voglio dire bastano appena appena per me…
E così, tanto per iniziare bene, mi accorgo che c’è qualcosa di cui non ho tenuto conto nel mio desiderio di cioccolata e rhum, ovvero che le mie figlie mi guardano….eccome se mi guardano! E nel vedermi mi prendono pure ad esempio!
La riflessione spontanea, che proviamo ad imbastire con le famiglie che si preparano al Sacramento del Battesimo per i propri figli in Parrocchia si incentra proprio su questo. Partiamo dalla loro scelta, la valorizziamo nella consapevolezza che rappresenti un regalo la cui portata ci potrebbe sfuggire ma è…eterna e proviamo a discutere insieme su come, ed in che modo, potranno continuare, dopo la scelta, ad alimentare la fede nei propri figli, regalo che, peraltro, forse in modo inconsapevole, si sono fatti anche personalmente.
Io ricordo a malapena ormai il Battesimo di Giulia e Chiara ed i pensieri che all’epoca albergavano nella mia testa (forse avevo talmente tanto sonno che i pensieri pure dormivamo…come potevano!), ma ogni volta che mi trovo davanti questi genitori di bimbi appena nati, o quasi, che li vedo nella tenerezza con cui accudiscono queste creature incredibilmente fragili e meravigliose che si trovano fra le braccia (…e che non voglio disilludere sul futuro...) inevitabilmente rifletto su come, con mio marito Luca, abbiamo proseguito, proseguiamo e proseguiremo anche noi, da genitori che hanno regalato il Battesimo alle proprie figlie.
La risposta, banale, ma profondamente vera, che mi arriva per prima è la più ovvia e naturale: l’esempio.
Questa parola ostrogota che spesso affiora sulle labbra ma che è di difficile realizzazione.
Dai figli, infatti, non si scappa.
Ti vedono e ti trovano sempre, come Equitalia (che poi non c’è più ma a noi ancora ci scrive....si è affezionata!), perché, anche quando si stanno contemporaneamente asciugando i capelli (lunghi, quindi ci vuole un po'…), sentendo la musica, litigando, etc etc ci guardano….ci guardano, ci pesano, un po' ci imitano, un po' vogliono essere esattamente l’opposto di quello che siamo noi, un po' ci amano ed un po' (ma solo un po' e quando sono molto molto arrabbiati) ci odiano, un po' ci cercano ed un po' ci evitano (specialmente se non hanno proprio la coscienza pulita come il loro sederino da piccoli…).
Ma i figli, questi sconosciuti senza data di scadenza sulla confezione, soprattutto ci chiedono, attraverso quello che vedono, di dare loro una prospettiva che non sia limitata a cosa fare sabato sera (anche se questo pensiero non li abbandonerà finché voi sfiniti non darete una risposta...), ci chiedono come imparare a vincere le paure, come alimentare i progetti, come crescere rimanendo ancora piccoli, come staccarsi rimanendo attaccati.
I figli credono nell'onestà se ci vedono lavorare onestamente, credono nella generosità se ci vedono interessarci agli altri concretamente, credono nel rispetto se respirano la capacità di non ricorrere alla facile tentazione della prepotenza.
I figli non crederanno, forse, che vale la pena di studiare, finché non dovranno trovarsi un posto di lavoro.
Non crederanno, forse, che l’affettività parte dai sentimenti e non dai pruriti, finché non si innamoreranno o, perché no? non sentiranno una Chiamata.
Non crederanno, forse, che il denaro è un mezzo e mai un fine finché non vedranno a quale fine, triste, rischiano di essere condannati, nella doppiezza e nell'aridità.
Non crederanno, persino, che c’è una vita eterna che li aspetta, un posto prenotato per loro, e non tramite l’ennesima app da scaricare, ma uno spazio per loro dove c’è scritto il loro nome sopra, il loro e nessun altro, come il loro nome era scritto nella nostra famiglia, nella nostra vita, nella nostra comunità, prima ancora che diventassero quel fagiolino piccolo piccolo della prima ecografia.
[Che poi io non finirò mai di stupirmi del fatto che un fagiolino già ha il cuore che batte! E come se batte! Batte così forte come le bastonate che darei in testa a chi non lo vuole chiamare figlio fino al 4 mese….e se ha un cuore come si chiama? Sasso?]
Scusate la deviazione, e torniamo a quello che i figli vedono.
Vedono quello che fino ad un certo punto i nostri occhi gli fanno vedere e poi, almeno questa è la mia speranza (ed un po' anche convinzione) e poi passano a vedere da soli quello che hanno scoperto con noi.
Questo sembrerebbe escludere tutti coloro che, allora, per un motivo o per l’altro, non hanno avuto la possibilità di nascere e/o crescere in una famiglia….eh no! Qui sta il trucco…e non è un Barbatrucco!
Per questo, per noi, tutti noi, anche per chi non ci crede, non ci vuole credere, un po' ci crede ed un po' no o ci deve pensare, esiste una Famiglia più grande, una Famiglia di fratelli, figli dello stesso Padre e che un giorno, devono mirare a tornare insieme in quella Casa da cui tutti, indistintamente ma tutti, sono venuti.
Il mio limite più grande sarà far vedere alle mie figlie che resisto a quelle due/tre tentazioni che ho, a partire dalla cioccolata, perché loro imparino che la rinuncia, se l’obiettivo è la condivisione, diventa quasi (ahia, quasi però…) un piacere.
Ci sarà sempre chi dirà che da quei due genitori tanto bravi ne è venuto fuori un figlio strampalato, mentre da quelli che “lasciamo stare come sono” un figlio che è un angelo. E allora? Non mi sembra una buona scusa per non provare nemmeno.
Anche perché provandoci, se proprio va male, se non riusciamo a portare in salvo proprio i figli che abbiamo generato noi, sappiamo che ci sono fratelli pronti ad intervenire, così come noi sappiamo di poter essere riferimento per altri. Io ci provo. Oggi.
Provo ad essere quello che Dio vuole per me, una Sua creatura amata e che questo amore vuole e può condividerlo.
Provo a trasmettere a Giulia e Chiara la gioia, l’entusiasmo, il coraggio, la tenacia, la forza, e chi più ne ha più ne metta, che trascina del messaggio incredibile e salvifico che ho avuto la grazia di conoscere con la fede.
Provo ad essere coerente con il modello a cui sono chiamata, anche se nella mia fragilità confido nella Sua misericordia, non perché così possa tirare fuori l’asso nella manica, ma perché so che la Sua misericordia riesce a far crescere me.
Oggi non mi è chiesto di essere perfetta ma, consapevole della mia imperfezione, allearmi con i fratelli per raggiungere la meta insieme.
Non posso garantire alla mia famiglia che non mi arrabbierò se non fanno il letto o mi rispondono male, non posso garantire nemmeno a me stessa che andrà tutto sempre bene, perché questa non è la vita, questa non è la famiglia.
Nella vita e nella famiglia bisogna fare il conto con le delusioni, le frustrazioni, le incomprensioni e le difficoltà…ma nella vita e nella famiglia cristiana tutto questo non si fa da soli.
Il giorno che non riesco chiedo aiuto e Lui arriva, devo solo imparare ad aspettare i Suoi tempi e le Sue modalità che, peraltro, che io ci creda o meno, sono gli unici giusti, gli unici che mi servono realmente.
Così proverò a fare, da madre, moglie, sorella, figlia, cugina e nipote.
Lo farò non solo per me, per provare a saltare sull’Arca prima che salpi, ma per i fratelli che desidero portare dietro ed anche, soprattutto, per chi crede che la mia prospettiva sia una follia.
E lo farò per Giulia e Chiara, mentre le guardo crescere e mentre loro guardano me…
Elisabetta Mariotti