Vogliamo essere un popolo fertile?

Il 22 settembre 2016 il Ministero della Salute ha promosso il primo ‘Fertility Day’, giornata nazionale dedicata all’informazione e alla formazione sulla fertilità umana.

La campagna mediatica di lancio dell’iniziativa, avviata con un misto di ingenuità e di dubbio gusto, ha purtroppo reciso sul nascere l’opportunità di una riflessione seria, lungimirante e ragionevole su un tema tutt’altro che secondario, soprattutto se riferito alle implicazioni sociali che esso sottende.

L’iniziativa è nata con lo scopo di accrescere, soprattutto nei giovani, la consapevolezza sulla propria salute riproduttiva e di fornire strumenti utili per tutelare la fertilità attraverso la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura delle malattie che possono comprometterla.

E' importante tuttavia considerare che la fertilità non è connessa solo con l’aspetto fisiologico riproduttivo, ma attiene la sfera più intima e profonda delle persone, e coinvolge ambiti estremamente delicati della esperienza personale, molto spesso connotati da ferite e sofferenze acute.

Probabilmente anche per questo motivo gli spot pubblicitari diffusi dal Ministero della Salute hanno suscitato reazioni negative, talvolta anche aggressive.

Gli gli errori comunicativi della campagna mediatica del Fertility Day, tuttavia, non riducono il valore assoluto di questo argomento che riteniamo importante approfondire prendendo spunto dall’editoriale di Giacomo Costa, Direttore di Aggiornamenti Sociali, Rivista di Approfondimento dei Gesuiti.

L'autore parte anzitutto dalla necessità di una opportuna distinzione e precisazione di termini: la fertilità corrisponde alla capacità biofisiologica di generare da parte delle donne e degli uomini, mentre la fecondità attiene la capacità generativa di una coppia.

La fertilità dunque, risulta essere è una condizione necessaria, ma non sufficiente della fecondità; generare è infatti un atto che richiede una scelta, una decisione.

Come secondo passo occorre riflettere sui diversi ambiti coinvolti nel binomio fertilità/fecondità:

1) la libertà e l’autonomia, dunque la sfera più intima della persona;

2) la vita di coppia e della famiglia, e quindi il mondo delle relazioni affettive più strette e importanti che permettono di passare dall’io al noi;

3) i fattori economici, sociali e culturali che incidono sull’autonomia personale.

Non si può sottovalutare il fatto che il recente, rapido progresso delle conoscenze scientifiche ha raggiunto anche l’ambito legato alla fertilità/fecondità, e ha attivato opportunità in passato inimmaginabili, nella maggior parte dei casi non adeguatamente accompagnate da un approccio integrato capace di considerarne e ponderarne tutte le implicazioni.

La maggiore conoscenza dei meccanismi biologici ha fornito strumenti di ampio controllo della propria fertilità. Ma l’ampliamento della capacità di esercitare il controllo, che matura a un ritmo più lento di quello delle scoperte scientifiche, rischia di trasformare la libertà acquisita in un problema o in un fattore di stress.

A ben riflettere ciascuno di noi è influenzato da due desideri primari, quello del consumo - che è ricevere per poter essere ed è quindi un modo di stabilire una relazione con la realtà e di essere uniti ad altri - e il desiderio del generare che è iscritto nella nostra memoria biologica e culturale.

Il consumo incorpora, il generare escorpora.

Solo imparando a gestire consapevolmente e in modo equilibrato queste due polarità si potrà vivere la dimensione più autentica della libertà che non riduce ogni cosa a merce, ma che sa aprire spazi perché l’altro da me possa esistere e ricevere cura, amore, dedizione, attenzione, pazienza e considerazione.

Sicuramente quindi che dal punto di vista antropologico, la fertilità e la fecondità, possono trovare concretezza, oltre che nel generare un figlio, anche nella apertura all’adozione o all’affido, nella cura di un genitore anziano, nella presa in carico di una famiglia in difficoltà, nella dedizione a un impegno sociale.

Ma la società non può essere estranea al desiderio di generazione. Il problema della natalità nel nostro paese esiste ed è reale.

Occorrono quindi risposte politiche concrete per accompagnare e sostenere le famiglie lungo il ciclo della vita, dalla nascita dei figli, all’assistenza ai genitori anziani.

Le politiche a favore della famiglia, quelle che realmente ne favoriscono uno sviluppo armonico e robusto, sono essenziali per innescare tendenze demografiche positive, senza le quali tutto l’impianto sociale rischia il collasso.

Per convincere le giovani generazioni all’accoglienza del nuovo, implicita nella procreazione e nella generazione, è necessario innanzitutto che esse sentano che nella società c’è un posto per loro, c’è un futuro per chi arriverà.

La situazione oggi per i giovani è del tutto diversa, molti di loro raggiungono la piena autonomia molto tardi e si trovano a ridosso di un’età in cui riuscire a fare un figlio è molto faticoso se non quasi impossibile.

Dal punto di vista politico è davvero necessaria una rivoluzione copernicana: smettere di considerare le spese a sostegno della famiglia come un costo da comprimere nella generalizzata caccia alla riduzione della spesa pubblica, iniziando invece a guardarle come un investimento che si ripaga nel tempo.

Solo promuovendo i diritti e l’inclusione sociale e lavorativa, di donne e giovani in particolare, si tutelano le opportunità di crescita e di sviluppo per la società e per il Paese. Del resto, è abbastanza intuitivo che crescita e sviluppo si pongano sulla linea del generare più che del consumare: in una società poco attenta alla propria fertilità e fecondità, nel senso integrale che abbiamo cercato di tratteggiare, non è difficile pensare un futuro di depressione e regressione.

 

Il fertility day, rinasca dunque, come opportunità di pensare un futuro diverso, una occasione di fiducia nel domani, una pausa di riflessione per una comunità sociale capace di guardare lontano con il coraggio e la volontà di innescare un cambiamento assolutamente necessario.

 

Franco Contino