Da genitore credo di poter testimoniare che il posto più difficile dove rimanere ancorato e seminare speranza talvolta sia proprio la famiglia…almeno la mia!
Mi rieccheggiano ancora le prime parole che Giulia, 4 anni, disse quando le presentai con entusiasmo e tanti buoni propositi la micro sorella Chiara: “io, veramente, preferivo un cane!”
Premesso che il cane, anzi i cani, (perché a casa nostra o ci facciamo male davvero oppure niente), sono comunque arrivati, certo forse qualche anno dopo la sua richiesta, ma sono arrivati….
ho sentito vacillare tutte le mie sicurezze sul bello della famiglia, sulle frasi fatte ma in cui in tanti ancora crediamo, tipo che il regalo più bello che possiamo fare ai nostri figli sono dei fratelli, che l’esempio vale più di mille parole e bla bla... tanti ulteriori pensieri sentimentali che, data la loro natura mammesca, potrebbero cariare i denti dei più sensibili fra i lettori.
Ma parliamo del lontano 2005 ed era solo l’inizio!
Nulla, infatti, rispetto a quello che poi le due sorelle stanno sperimentando ora sulla fraternità, la solidarietà, il rispetto, la generosità, etc. etc con l’aiuto, unico ed irripetibile, di quella fase incredibilmente devastante ed entusiasmante (che poi che è entusiasmante lo dice solo D’Avenia ma diamoli fiducia!) della vita che si chiama adolescenza.
Quindi, diciamocelo, la strada per la Santità per un genitore vuol dire rimanere al proprio posto quando quel posto è davvero scomodo e passa spesso attraverso quel periodo indeterminato (ma perché nessuno dichiara quanto durerà? Inizia più o meno sui 13, 14 anni per i genitori più fortunati, ma dovrà finire prima o poi, oppure è coperto dal segreto di Stato?) in cui sei catapultato senza preavviso ed in cui ricordi vagamente di quando la notte ti svegliavi per ammirare quel figlio che amorevolmente ti era stato donato, mentre ora speri solo che arrivi la notte perché almeno dorme e tu puoi respirare.
Monsignor Giaquinta aveva visto lungo anche su questo, assegnando a ciascuno in base alla propria vocazione un ruolo sul quale giocarsi la Santità, per poi convogliarci tutti verso il progetto comune di salvarci insieme.
Santità che, quindi, non è più solo quel concetto astratto che vediamo realizzato in modelli meravigliosi come Santa Madre Teresa di Calcutta o carismatici come San Giovanni Paolo II.
Ammetto che, personalmente, subisco ancora il fascino di Santi quali San Francesco e Sant’Agostino e faccio davvero difficoltà a pensare che possiamo arrivarci tutti, ma l'esperienza che vivo nel Movimento Pro Sanctitate mi ha dato una speranza che non avrei mai creduto.
Anche la Santità va rivista alla luce dei tempi e dei ruoli, ciascuno per il pezzetto di vita che percorre, per il posto che ha scelto; nativi digitali o meno, passa anche per gli smartphone dei propri figli che sembrano i loro arti ulteriori, e più attivi, per gli strumenti tecnologici nella speranza che i ragazzi possano comprendere che dovrebbero essere al servizio dell’uomo e non farne un servo; una santità che interroga sul senso da dare alla vita che non sia quello stereotipato proposto in televisione, ma si ritrova nella gioia di camminare verso qualcosa che merita e che non tradisce, per la speranza di non restare vuoti a perdere, ma desiderare l’Eternità.
Essere genitori oggi è un po’ come svolgere contemporaneamente molti mestieri, a partire dai più semplici ma essenziali: un po' agricoltori per seminare il terreno dei loro cuori, un po' minatori per tirarne fuori ciò che di più prezioso custodiscono, un po’ scultori per aiutarli a modellarsi, un po’ pittori per colorare la loro vita dei doni che hanno ricevuto.
Salto il modello di avvocati, medici, ingegneri…perché per quello c’è tutta una società che rema, mentre spesso la sete interiore dei ragazzi, la difficoltà a trovare il proprio posto - in cui sicuramente gli scombussolamenti adolescenziali non li aiutano – la tenerezza compressa, il coraggio delle scelte, il desiderio del Più, vengono considerate aspettative da tenere a freno, lasciando che urlino dentro di loro e non trovino la via d’uscita.
Il primo terreno su cui cercare ciascuno il proprio posto, dove creare fraternità, almeno secondo la nostra personale esperienza familiare, trova il suo più terribile confronto proprio dentro quelle mura domestiche dove si gioca la prima conciliazione fra il mio ed il tuo bene, fra le mie e le tue esigenze, dove la difficoltà principale può essere dividere la stanza (l’ultima idea delle nostre figlie sarebbe di costruire una parete divisoria, ma per farlo dovranno murarci dentro anche me), stabilire equamente il tempo da trascorrere in bagno (e su questo chi ha figlie femmine sa che il numero dei bagni non è mai sufficiente a soddisfare tutte le esigenze), decidere a chi va l’ultima fiesta (per questo mi sacrifico e la mangio io), votare la scelta di cosa vedere in Tv ( a casa nostra il televisore è unico perché ci piace la guerra!), discutere persino, e sottolineo persino, sulla qualità e quantità dell’amore distribuito, perché tanto a ciascuno sembrerà sempre che l’altro sia il preferito.
D’altronde, Monsignore insegna, se vuoi la bicicletta di diventare Santo, che diciamocelo, ci fa un po’ piacere a tutti pur senza sentirci i Coppi o Bartoli della situazione, devi portarti appresso più fratelli che puoi, perché qui non vince chi arriva primo, ma chi arriva insieme!
Partire dai consanguinei può essere un inizio, perché talvolta magari è proprio nella stessa famiglia che nascono le prime rivalità, le prime incomprensioni, gli allontanamenti e le esclusioni.
Mentre a parole è facile idealizzare la fratellanza e la solidarietà, la trappola da cui uscire indenni è non fermarsi alla commozione, al sentimentalismo fine a se stesso e scomodare quella parte di noi che fa più fatica a sentirsi fratello, a rinunciare per il fratello, talvolta anche solo a rispettarlo.
La sfida personale, che vorrei lanciare per prima nella mia famiglia, è partire da quelle situazioni scomode in cui l’abito del fratello sembra restringersi come i vestiti di Zara che, almeno per me, sono sempre di una taglia più piccola!
La sfida dei piccoli passi possibili quotidiani.
La tentazione umana forte è di mettersi pericolosamente di traverso, di espatriare, di dichiararsi sconfitti di fronte ad un ruolo che non è come ci aspettavamo….ma non vale, o meglio vale solo se la nostra vita vogliamo circoscriverla a questo pezzetto terreno, a cercare di coltivarci l’otricello in modo che le erbette siano tutte sempre fresche ed allineate.
Basta alzare lo sguardo per capire che questo ordine finisce qui, ma c’è un ordine che va Oltre, al quale non è un atto di superbia voler aspirare purché ci si metta nella condizione umile di chiedere aiuto, di cercare, sempre, il Bene che va al di là del proprio ben-essere.
Forse molti avranno la sensazione di poter dare troppo poco o addirittura nulla. Impossibile. Ogni uomo ha una capacità essenziale di amare ed è ciò di cui c'è più bisogno. La potenza della rivoluzione dell'amore sta appunto nella capacità di amare Dio e i fratelli. Non di amarli in qualche modo, ma in forma totale, radicale e quindi rivoluzionaria.
Guglielmo Giaquinta - L'amore è rivoluzione
Accettare il proprio ruolo è anche questo, è sapere che la tua strada incrocia altre strade, di qualche altro genitore spaesato come te, di consacrati che sapranno regalarti la speranza quando hai gli occhi troppo chiusi per vederla, di figli che in alcuni periodi potranno essere i tuoi peggiori nemici, di fratelli, qualunque sia la loro vocazione, che cercano il proprio posto, qualche volta lo perdono e poi lo ritrovano ma che, come te, provano a guardare verso l’Alto….tutti in un’Unica Direzione.
Elisabetta Mariotti