Non siamo nati per odiarci e combatterci
ma per amarci e aiutarci.
Non può quindi essere la violenza,
la divisione, l'ingiustizia e la lotta
la legge fondamentale dell'umanità
che deve invece sforzarsi di attuare
il sogno di una ‘fraternità universale’
capace di ignorare o superare
qualsiasi barriera.
Solo l'unità fraterna potrà salvare il nostro
domani di uomini liberi.
Guglielmo Giaquinta - 1973, Fraternità
Le stragi di matrice islamica di Parigi e Bruxelles, ci hanno scosso profondamente suscitando sentimenti di lutto, rabbia, condanna della violenza, desiderio di affermare la bellezza della vita.
Purtroppo ci rendiamo conto che al di là delle reazioni immediate, caratterizzate spesso da paura ed allarmismo, non si riesce ad uscire dalla spirale della violenza.
Prendiamo spunto dall’editoriale del direttore Giacomo Costa sulla rivista Aggiornamenti Sociali e proviamo ad analizzare cosa sta accadendo, ben sapendo di non poter disporre di soluzioni pronte ma consapevoli che occorre mettere a disposizione tutto quello che abbiamo per capire come muoverci in questa situazione così grave.
I contributi possibili sono politici, filosofici, economici, sociali, educativi, giuridici ma anche religiosi e su questi ultimi vogliamo soffermarci particolarmente.
Nonostante sia chiaro che dietro il movimento terroristico ci siano grossi interessi economici, non possiamo negare che ciò che spinge i singoli attentatori suicidi ad agire sono motivazioni religiose; c’è, per quanto incredibile e inspiegabile ai nostri occhi, una fede.
I jihadisti sono incapaci di distinguere il civile e il politico dal religioso, di conseguenza il loro giudizio radicalmente negativo sull’occidente, viene argomentato a partire dalla fede.
Questa impostazione è incomprensibile per noi giacché la nostra visione del mondo ha fatto della separazione degli ambiti il proprio tratto distintivo fino a liquefarsi nella frammentazione; la secolarizzazione ha spinto nel privato fedi e religioni, senza però aver risolto la questione delle visioni integranti e oggi, più che mai, emerge una fatica a vivere senza convinzioni profonde e a rinunciare a una visione della fede che possa permeare tutta la nostra esistenza.
Ci si chiede allora se una fede può condurre all’intolleranza e alla violenza, vogliamo inoltre comprendere quali siano i fondamentalismi ancora vigenti e quali le vittime.
Per capire meglio ciò che stiamo vivendo analizziamo brevemente la teoria del ‘capro espiatorio’ dell’antropologo e filosofo francese René Girard, che ha sempre analizzato con attenzione il rapporto tra violenza e religione.
Il ‘capro espiatorio’ indica una persona, un gruppo, una famiglia, una etnia, una setta, un popolo, spesso debole o non in condizione di ribellarsi, su cui far ricadere la responsabilità di un male collettivo da eliminare o allontanare affinché la società ritrovi pace e armonia.
Quindi il ‘capro espiatorio’ è qualcuno che ingiustamente e ingiustificatamente paga per tutti.
Questo meccanismo di regolazione della violenza collettiva è stato utilizzato dall’umanità e viene ancora applicato non solo in ambito religioso ma anche in ambito sociale e politico.
Gesù ha deliberatamente assunto il ruolo di capro espiatorio e ha così smascherato la mistificazione implicita del meccanismo, lasciando trasparire inequivocabilmente la propria innocenza e l’ingiustizia di cui è vittima.
In questo momento l’occidente è nella scomoda posizione di capro espiatorio potenziale ma rifugiarsi nella spirale della reciprocità violenta non può essere certamente la soluzione.
La disperata strategia che sta portando avanti l’ISIS è quella di costruire un consenso globale da parte della comunità islamica, che fortunatamente si mostra in larghissima maggioranza poco sensibile al richiamo. Questa considerazione dovrebbe spingerci a non cadere nella trappola dello scontro tra civiltà generalizzando e trasformando tutti i musulmani che vivono in Europa in pericolosi sospetti.
Accusare tutto un gruppo dei delitti compiuti da pochi, significa seminare razzismo e perpetuare una logica che sappiamo essere disumana e perdente.
Le cronache degli attentati ci hanno anche offerto il racconto dei gesti di “eroi anonimi” che hanno avuto il coraggio di pensare non solo alla propria salvezza ma anche a quella degli altri, pur esponendosi a un rischio; sono loro i veri artefici del fondamentalismo della vita, l’unico che può opporsi a quello della morte praticato dai terroristi. Il vero martire muore per la vita, non per la morte.
I fatti di Parigi e Bruxelles contengono alcune lezioni importanti.
Ci rivelano la pericolosità del meccanismo del ‘capro espiatorio’, che propone una soluzione facile ma provvisoria e falsa, che gratifica soltanto la voglia di vendetta ma non spezza il circolo vizioso della violenza.
Comprovano come i terroristi dimostrino una grande capacità di connettere le istanze locali con un orizzonte globale: anche noi dobbiamo fare lo stesso incentivando la vita e la pace. Per esempio sarebbe opportuno promuovere occasioni di confronto tra esponenti di religioni diverse sul tema della partecipazione democratica e della cittadinanza, nell’ottica del riconoscimento reciproco e della solidarietà tra chi rifiuta la logica del ‘capro espiatorio’.
Richiamano a riscoprire la Potenza delle fedi e delle convinzioni profonde da ‘utilizzare’ per il bene.
Occorre quindi smettere quella sorta di sospetto, di retaggio illuministico, verso tutto ciò che ha a che fare con la religione.
Interessante a tal riguardo quanto scritto dal segretario di stato americano John Kerry “sulle questioni più disparate, come guidare la crescita economica, tenere a freno la corruzione, lottare contro il terrorismo, ridurre i conflitti, promuovere i diritti delle donne e la salute pubblica, le convinzioni religiose plasmano l’opinione pubblica e quella dei promotori del cambiamento”.
Imparare queste lezioni è un modo per rendere onore alle vittime e ai veri martiri che si sono resi protagonisti di quegli eventi. Questa può essere l’apocalisse, cioè la rivelazione, di quanto accaduto e da questo dobbiamo lasciarci ispirare nella nostra risposta al terrorismo globale.
Franco Contino