I terribili attentati di matrice islamica vissuti in Europa, pongono interrogativi non solo sull’ideologia estremista del jihadismo ma soprattutto sulla figura del terrorista jihadista che commette i suoi crimini a sangue freddo.
Dietro l’ideologia ci sono comunque degli uomini e in questo caso, con ancora maggior sconcerto da parte nostra, scopriamo che essi sono nati e cresciuti nelle nostre città, vivendo quindi pienamente la nostra realtà occidentale.
Quali sono le motivazioni che li spingono ad aderire al jihadismo?
Quale malessere sociale si cela dietro queste incomprensibili scelte?
Quali meccanismi perversi si innescano dietro l’immaginario del martire che ritiene di morire per una giusta causa?
Per cercare delle risposte che non ricadano nei luoghi comuni e che aiutino anche ad analizzare le critiche che possono essere mosse alla nostra civiltà occidentale riportiamo i passi essenziali di un interessante articolo scritto dal sociologo Farhad Khosrokhavar, direttore della scuola di studi di scienze sociali di Parigi, e pubblicato sulla rivista Aggiornamenti Sociali.
Chi sono dunque questi nuovi jihadisti nati e cresciuti in Europa?
Un primo gruppo comprende i giovani delle periferie che vivono l’esclusione come un evento insormontabile maturando quindi l’antagonismo verso la società degli “inclusi”.
Provano un profondo senso di indegnità che si traduce in un’aggressività non solo verso gli esterni ma anche contro i membri della propria famiglia.
Rinchiusi nel loro quartiere trovano una via di uscita al loro malessere nella delinquenza e nella ricerca del denaro facile per vivere secondo il modello sognato del ceto medio.
Per una piccola minoranza questo modo di agire non è più sufficiente… Si avverte il bisogno di una affermazione della propria identità che comprenda il recupero della dignità perduta e la volontà di attestare la propria superiorità sugli altri, mettendo fine al disprezzo subito.
La trasformazione dell’odio in jihadismo sacralizza la loro rabbia: il disagio vissuto è superato grazie all’adesione a una visione che rende loro cavalieri della fede e gli altri infedeli. In questo modo l’islamismo radicale trasforma il disprezzo di sé nel disprezzo per l’altro.
Il viaggio iniziatico in un Paese del Medio Oriente legittima la loro scelta; imparano a usare le armi e al contempo diventano “stranieri” alla propria società, apprendono a diventare crudeli, a giustiziare senza scrupoli gli ostaggi.
Altro elemento essenziale dell’islam radicale è la creazione di una fantomatica comunità musulmana coincidente con tutto il mondo (‘umma’) in cui il giovane jihadista si sente accolto come in una società utopica senza classi sociali; tale appartenenza rafforza la volontà di abbandonare la propria società di origine.
Un secondo gruppo di jihadisti nati in Europa è composto da giovani appartenenti al ceto medio; sono spesso adulti eterni adolescenti provenienti da altre religioni e convertiti all’islam.
Questi, a differenza dei giovani delle periferie, non nutrono odio per la società, hanno invece un problema con l’autorità e le regole.
Vissuti in un contesto familiare e sociale dove vige il relativismo, soffrono l’assenza di una autorità ben definita e trovano nelle norme islamiste una visione chiara e senza sfumature della vita; l’islamismo radicale dà ai giovani la sensazione di osservare regole intangibili e di essere coloro che le impongono in tutto il mondo.
I giovani jihadisti cercano così di controllare i propri desideri imponendosi norme di un islamismo rigoroso per acquistare ai propri occhi una maggiore dignità.
Nelle società europee, dove il secolarismo è sinonimo di negazione di ogni trascendenza, e dove si registra la scomparsa del senso del religioso istituzionalizzato, nasce questo fenomeno che spinge a cercare nuovi orizzonti di sacro nello sconosciuto che si rivela così opprimente e violento.
E’ da notare, all’interno di questo secondo gruppo di jihadisti, una nuova presenza femminile. La loro scelta nasce in primo luogo da una ragione “umanitaria” (i fratelli nella fede avrebbero bisogno di aiuto per far fronte a un potere eretico) e in secondo luogo dalla ricerca di una immagine idealizzata della virilità che si concretizza in un uomo che si espone alla morte mostrandosi così virile, onesto e sincero.
Queste giovani donne che hanno sperimentato la precarietà dei legami coniugali dei loro genitori e vissuto il livellamento della condizione maschile, rifiutano l’immagine prevalente dell’uomo e della donna nella società moderna.
Qualunque sia la provenienza sociale ciò che accomuna realmente questi diversi gruppi di giovani attratti dall’islamismo radicale è la ricerca di una nuova utopia combinata con la felicità individuale e il gusto dell’avventura. In questa situazione, per quanto paradossale possa sembrare, l’elemento saliente è la morte, la categoria che guida la loro psiche tormentata.
La morte dà loro la sensazione di essere “invulnerabili” a differenza di quanti si sentono impreparati di fronte ad essa; il martirio è una duplice liberazione perché rompe con una società corrotta e permette di godere la felicità eterna.
Si mette in gioco la vita per superare l’illusorietà di una vita che si caratterizza soprattutto per il livellamento tra uomo e donna, tra sacro e profano, tra il virtuale e il reale e infine tra la vita e la morte.
Come difenderci dunque da questa realtà che minaccia dal di dentro la collettività?
Se gli apparati di sicurezza internazionale giocano certamente un ruolo essenziale nella gestione del fenomeno, alla società adulta di occidente spetta l’altrettanto essenziale compito di offrire una risposta educativa, una alternativa culturale concreta alla strategia del terrore; tanto più ora che ce la vediamo attecchire nel giardino delle nostre case.
Ai cristiani tocca certamente stare in prima linea; essi, alla ribellione della violenza, possono opporre la rivoluzione del Vangelo solo se però sono disposti a crederci sul serio e a scommettere che esso non è illusione effimera ma promessa credibile di un mondo nuovo.
In questa prospettiva affidiamo la conclusione di questo articolo alle parole profetiche di Guglielmo Giaquinta. Esse ci ricordano la missione rivoluzionaria affidata a ciascuno di noi:
L'inversione dei valori che Gesù ha predicato e vissuto per primo è stata la più spettacolare nella storia della umanità. Basta leggere le beatitudini per convincersene.
L'uomo è istintivamente portato al piacere, alla ricchezza, al plauso, al comodo; Cristo fa scoprire valori nuovi proprio nella negazione di tali esigenze istintive. Egli, anzi, da perfetto capo ha voluto vivere per primo quanto ha insegnato agli altri, rimanendo in mezzo a noi esemplare perfetto delle beatitudini.
Ma tutto questo non ha significato se non si riflette ad una seconda inversione di valori operata da Gesù.Il grande mistero che aveva sempre atterrito l'umanità era quello della morte. Gesù ce ne ha svelato il significato mostrandocela come un passaggio, che non significa, quindi, fine ma solo inizio di un periodo nuovo.
C'è una continuità tra il tempo e l'eternità e quanto viene operato in questo mondo ha una ripercussione e un valore nella vita ultraterrena. Questo equivale a sconvolgere tutti i calcoli umani facendoci puntare non più su ciò che è caduco e finito ma sui valori che non possono terminare.
E' in questa luce che vanno le tante le esortazioni di Cristo a confidare nella Provvidenza, l'invito a spogliarsi di tutto per avere un tesoro in cielo e le severe ammonizioni al ricco avaro. Si torna a scoprire la forza travolgente del messaggio di Cristo e si comprende che solo attraverso una sua integrale attuazione gli uomini potranno capire di essere fratelli e attuare le riforme necessarie per una convivenza umana e cristiana.
Chi potrà fare questa rivoluzione dell'amore?
Teoricamente tutti; in realtà è necessario trovare degli uomini che sappiano azzardare e scommettere, dinanzi al mondo, la loro vita sulla validità di questa rivoluzione voluta da Cristo.
E' un'ora grave, quella che attraversiamo. Ogni reticenza, incertezza, temporeggiamento equivale ad una collusione con la forza del nemico dell'amore. Nessuno prenda su di sé la grave responsabilità di non aver dato il proprio contributo alla salvezza della umanità che può aversi solo nella utopia dei santi realizzata dalla rivoluzione dell'amore.
Franco Contino