Sono passati quasi due mesi dalla mia avventura come Delegata del Movimento Pro Sanctitate al Convegno Ecclesiale di Firenze “In Gesu’ Cristo il nuovo Umanesimo”.
Quando Nicoletta mi chiamò e, con il suo entusiasmo e la sua contagiosa letizia, mi chiese di partecipare al Convegno, mi misi a ridere e un po’ per scherzo e un po’ per “piacevole dovere” le dissi di sì.
Ma quando lunedì 11 novembre sono salita sul treno per Firenze ho cominciato a preoccuparmi: sarei stata davvero capace di portare la voce del Movimento in un avvenimento ecclesiale che ritenevo determinante per il momento storico in cui viviamo come laici impegnati e come Chiesa universale?
Non mi soffermo su quanto detto dai relatori e dal Santo Padre, vi invito a cercare e leggere gli interventi e i documenti (compresa la traccia preparatoria “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”) che sono stati splendidi e molto aderenti alla realtà e che serviranno a vivere al meglio il nuovo anno.
Voglio, invece, condividere con voi quello che ho provato e quale significato ha avuto per me la partecipazione a questo momento di Chiesa.
Era la Chiesa in cammino che, fisicamente, raggiungeva il Battistero di Firenze passando nel centro della città dove da una parte all’altra le persone cedevano il passo al fiume di sacerdoti, vescovi, consacrati, laici: un popolo di cristiani in cammino, insieme, senza differenze di ruoli, per ritrovarsi a far memoria del proprio battesimo.
Eh sì, un popolo di cristiani, è questa l’aria che si è respirata: ritrovarsi a pranzo con vescovi conosciuti, alcuni molto noti e “famosi”, sacerdoti amici di cui avevo letto libri, e laici fortemente impegnati di cui riconoscevo il viso per averlo visto sui giornali, ma TUTTI insieme senza preoccuparsi troppo del “formalismo” da sfoggiare, condividendo il pasto come in famiglia.
La cosa che più mi ha colpita e resa davvero felice è stato vivere un vero e proprio momento di Chiesa alla pari, (quasi, concedetemelo) perché nessuno ha rivendicato il ruolo che rappresentava. Nessuno era lì per dire che la sua posizione, la sua opinione, il suo pensiero fosse più importante o piu’ vero di quello degli altri. Lo stesso stile animava il lavoro nei gruppi quando in una stanza in 100 persone divisi in tavoli da 10 ognuno portava il proprio carisma ma con grande rispetto e grande accoglienza. Non era solo questione di falsa educazione, ma apertura agli altri per rispondere al meglio al grido che gli uomini e le donne di questo tempo fanno sentire alla Chiesa.
Ma torniamo al pellegrinaggio e ai volti che ci guardavano passare, una città ferma (con tutti i disagi per chi vi abita o vi lavora) che ci osservava e aspettava da ognuno di noi un segno piccolo, ma concreto e diretto al cuore (fosse anche solo un sorriso). Questo ancora oggi mi interroga: il mondo non ha bisogno di nuovi evangelizzatori, ma di semplici cristiani, fedeli (non privi di fragilità e errori), adulti nella fede capaci di vivere la vita seguendo Gesù Cristo. Ogni giorno, in ogni situazione, con qualsiasi fratello o sorella incontrati. Questo è stato solo l’inizio del Convegno, poi ogni giorno un crescendo: la visita di Papa Francesco mi ha commosso, quest’ uomo ha davvero incontrato ognuno in profondità, il suo ascoltare le testimonianze, il suo genuino abbracciare le persone, baciare i bambini, il suo caloroso salutarci tutti è stato un segno bello e importante del suo essere padre.
Più di una volta in quei giorni mi sono risuonate le parole del nostro Fondatore, che ho voluto riprendere:
Per noi il sentire cum Petro è essenziale e non può essere toccato; contemporaneamente non dimentichiamo di avere un carisma specifico, il nostro carisma, al quale, come alla Chiesa, vogliamo rimanere aderenti e fedeli. Nello stesso tempo affermiamo che dobbiamo dare una risposta alle esigenze che lo Spirito suscita nel mondo e all'interno della Chiesa stessa, e quindi dobbiamo avere l'occhio aperto, l'orecchio attento, l'intelligenza pronta a captare questi moti dello Spirito. Egli agisce nella Chiesa più di quanto noi pensiamo e agisce anche nel mondo, si tratta solo di saper cogliere quest'azione. Non tutte le richieste del mondo sono negative e anche quando lo sono c'è in esse un'implorazione, un pianto dello Spirito, che implora da noi una risposta positiva. Da qui la necessità di essere presenti nel mondo per dare una risposta esatta”.
Chiari sono i “compiti” consegnati da Papa Francesco e tre sono le parole che lui stesso ha voluto commentare:
UMILTA’: l’ossessione di preservare la propria gloria e influenza non deve appartenerci, ma tutto per la gloria di Dio.
DISINTERESSE: ciascuno non curi l’interesse proprio, dobbiamo cercare la felicità di chi ci sta accanto: l’umanità del cristiano è sempre in uscita da se stesso, la nostra fede è rivoluzionaria. Qualsiasi vita si decide sulla capacità di donarsi.
BEATITUDINE: il cristiano ha in sé la gioia del vangelo, le beatitudini ci indicano il cammino. Per essere beati è necessario avere il cuore aperto. Le beatitudini sono lo specchio su cui guardarci, è uno specchio che non mente.
Poi, come spesso dice, ha ribadito “preferisco una Chiesa ferita piuttosto che una chiesa malata per la chiusura” e ha aggiunto “Cosa dobbiamo fare? Cosa ci chiede il Papa?”
La sua risposta è stata (invitandoci a guardare realmente verso l’altro nella meravigliosa Cattedrale di Firenze): Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme. Io oggi semplicemente vi invito ad alzare il capo e a contemplare ancora una volta l’EcceHomo che abbiamo sulle nostre teste. Fermiamoci a contemplare la scena. Torniamo al Gesù che qui è rappresentato come Giudice universale. Che cosa accadrà quando «il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (Mt 25,31)?
Concludo con le parole del dialogo che mi sembrano adatte al nostro tempo:
Vi raccomando anche, in maniera speciale, la capacità di dialogo e di incontro. Dialogare non è negoziare. Negoziare è cercare di ricavare la propria “fetta” della torta comune. Non è questo che intendo. Ma è cercare il bene comune per tutti. Discutere insieme, oserei dire arrabbiarsi insieme, pensare alle soluzioni migliori per tutti. Molte volte l’incontro si trova coinvolto nel conflitto. Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo.
Desidero ringraziare Nicoletta e tutta la Direzione Nazionale del Movimento per avermi permesso di partecipare a questo Convegno e invitare tutti a far tesoro dei documenti che sono stati resi pubblici per edificare insieme la nostra realtà e poter contribuire a porre le basi per una civiltà dell’amore dove il “Tutti santi, tutti fratelli” possa essere una realtà.
Grazie
Adria Coppola