Riportiamo un estratto del discorso di auguri rivolto dal Vescovo Giaquinta alla sua Diocesi di Tivoli, il 31 dicembre 1976.
Parole di… Speranza, misericordia, responsabilità, fraternità.
Siamo al termine di un anno e all'inizio di uno nuovo sì è soliti in quest'occasione farsi gli auguri.
Non possiamo non pensare alle nostre famiglie e qui l'augurio non si fa più semplicemente personale, non riguarda solo ciò che ciascuno porta nel cuore ma diventa attesa di una famiglia, diventa amore, bisogno di pace, di serenità, di gioia, di felicità, diventa soprattutto bisogno di bontà, perché ogni famiglia sia un luogo in cui si vive l'amore, la comprensione, la serenità, in cui ogni situazione difficile venga composta, in cui ogni opposizione si risolva attorno all'amore della mamma. È l'augurio più normale, forse anche il più atteso, da parte di tutti voi.
Ma quando da questo piano passiamo alla concretezza pesante, dura di ogni giorno, quando invece di rifugiarci nel domani, quel domani che incomincia fisicamente tra qualche ora, diamo uno sguardo retrospettivo all'anno (1976) e pensiamo alla situazione che abbiamo vissuto, ci chiediamo che cosa può fondare la speranza che il domani, questo nuovo anno (1977), possa essere differente da quello trascorso.
Nel passato 31 dicembre 1975, tante cose ci siamo augurati; quante di quelle cose sono diventate realtà?. Abbiamo condensato in una sola parola – austerità - il sacrificio, di dolore, l'incertezza, la problematicità che in questo momento ci schiacciano. Allora mi domando, dinanzi a questa situazione che abbiamo vissuto e stiamo ancora vivendo, in che modo possiamo pensare al prossimo anno come portatore di realtà nuove.
Ci sarebbe piuttosto da scoraggiarsi e guardare con animo preoccupato questo domani che comincia.
Ma a questo punto, il vostro Vescovo, il vostro padre, deve fermarsi perché non è lecito a ciascun cristiano parlare in modo sfiduciato, perché il cristianesimo, è bene ricordarlo è fondato essenzialmente su due grandi realtà: sulla speranza e sul nostro senso di responsabilità. Solo poggiandoci su queste due realtà possiamo guardare a viso aperto questo nuovo anno che il buon Dio ci prepara.
La speranza: in che cosa? È chiaro che la prima speranza deve essere posta nel Signore, perché crediamo alla onnipotenza di Dio e al suo amore. Ed è perché crediamo, perché ci siamo abbandonati al suo amore, ed abbiamo posto la nostra vita in gioco su esso, che abbiamo fiducia nel domani, qualunque siano gli eventi. E crediamo che comunque le cose vadano, al di sopra del nostro povero futuro e dei nostri avvenimenti, c'è una realtà superiore che si chiama Dio. Cominciamo quindi sereni il nuovo anno.
Ecco allora il primo fondamento della nostra speranza: l'amore infinito di Dio e la sua onnipotenza che al servizio di questo amore infinito.
Ma ce ne è un altro perché, forse ancora più profondo: proprio quando l'uomo è giunto al fondo delle sue possibilità, quando la sua potenza è terminata, è là, in quel punto di tragedia, che si innesta l’onnipotenza di Dio e là che comincia la misericordia onnipotente del Signore. Così io affermo che questa di oggi è l’ora della Misericordia di Dio, perché troppo noi abbiamo bisogno di lui, perché ormai comprendiamo di essere incapaci di salvarci, la nostra fiducia e quindi nell'amore di Dio, un amore misericordioso che segue e vede la nostra povertà, per darci ciò di cui abbiamo bisogno.
E poi c'è un terzo motivo di speranza e questo riguarda il nostro senso di responsabilità. Siamo capaci di ragionare perché il buon Dio ci ha dato un raggio della sua intelligenza e dovremmo accorgersi che l'unica cosa che ci può salvare è una civiltà di amore, cioè un mondo in cui tutto sia regolato dalla fraternità e dell'amore. O ci sentiremo fratelli che tutto compongono con la comprensione, con l'amore, o diventeremo uomini che sulla strada con la rivoltella si uccidono e ci uccidono un giorno dopo l'altro. Il senso di responsabilità è dunque il secondo pilastro del cristianesimo, perché come tutti siamo responsabili di questa situazione negativa, così dobbiamo esserlo di una positiva, di un mondo differente. Ma quando parlo di un mondo differente, di un mondo nuovo, mi riempio la bocca di una parola che è irreale, perché il mondo non esiste. Esiste la mia realtà, la mia miseria, il mio egoismo, sono io che costruisco il mondo o lo distruggo con il mio egoismo.
Di qui nasce il senso di responsabilità personale. Perché le cose vanno male, perché il mondo va male? Non perché ci sono delle forze complesse che a un certo punto impongono il bene o il male, ma perché sono io che vado male, è il nostro egoismo individuale e familiare, che poi diventa collettivo, sociale, politico partitico, e ci travolge. Cominciamo con un mea culpa personale: all'egoismo sostituiamo l'amore, la fraternità, ma sempre sul piano personale.
Devo essere io per primo a iniziare la mia conversione interiore, devo essere io ad amare il mio fratello, a non frodarlo, ad aiutarlo, a comprenderlo. Devo essere io, per primo, nella mia famiglia - io uomo, io donna, io sposo, io sposa, io figlio - se voglio che essa cambi, devo essere io per primo, se voglio aiutare questo mondo, questa realtà, a superare l'egoismo che ci sommerge, per attuare una realtà di amore.
Guglielmo Giaquinta, 31 dicembre 1976