a cura di Marialuisa Pugliese
TRASFIGURARE
Siamo ormai alla soglia del Convegno Nazionale e – mentre completiamo l’itinerario di preparazione all’evento che ci siamo prefissi di compiere “connessi” su questa “piazza” comune – vogliamo esortarci a vicenda a rivisitare interiormente la nostra specifica appartenenza ecclesiale e la nostra particolare missione a favore della chiamata universale alla santità.
TRASFIGURARE: UNA NUOVA CHIAVE D’INTERPRETAZIONE
Trasfigurare: il verbo che in questo percorso verso Firenze a differenza degli altri ci ha molto sorpreso! E forse più degli altri ci ha fatto riflettere …
Finora, per parlare di evangelizzazione, missione, azione apostolica, catechesi, pastorale, apostolato della santità, ecc, a quanto ci consta, mai si era fatto esplicito appello alla categoria della trasfigurazione.
Della conversione sì, certamente; ma qui ora sembra di essere afferrati da una particolare ventata dello Spirito Santo, che “fa nuove tutte le cose”, che “rinnova la faccia della terra”, che allarga gli orizzonti e sospinge menti e cuori. Abbiamo cioè la percezione di trovarci di fronte alla proposta di una nuova chiave d’interpretazione di quella che è la vita ecclesiale e la presenza cristiana nelle realtà sociali.
Trasfigurare, quale “unzione” dello Spirito, non opera nostra.
Trasfigurare, quale impegno di trasformazione secondo il modello originale dell’immagine e somiglianza di Dio.
Trasfigurare, dunque, quale processo divino/umano multiplo:
del lasciarsi trasfigurare in “creature” dalla dignità di persone profondamente interiori e dinamicamente sociali
per trasfigurare situazioni e relazioni umane in fraternità, attraverso scelte di giustizia e di onestà, gesti di pace e di solidarietà, atti di amore e di perdono
così da dare, insieme, un volto più umano alla società
e contribuire in umile consapevolezza al progetto redentivo
nella certa speranza che possa ricrearsi “l’armonia del cosmo”.
LA TRASFIGURAZIONE DI GESU’ SUL MONTE TABOR
Circa otto giorni dopo questi discorsi (l’avvento prossimo del regno) Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. E, mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: “Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia”. Egli non sapeva quel che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all’entrare in quella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo”. Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Lc 9, 28-36
Se … guardiamo all’icona della trasfigurazione
Se … ci domandiamo di quale colore è la trasfigurazione di Gesù
con gioia pensiamo al bianco intenso, che comprende tutti i colori.
Se … vogliamo trovare l’aggettivo più bello della trasfigurazione
essa ci viene incontro luminosa, tale da riempire i nostri occhi di luce.
Se … intendiamo salire su di un alto monte per fare la reale esperienza
della trasfigurazione
forse dobbiamo cominciare a scendere nelle profondità del nostro essere.
Se … cerchiamo di spiegare la trasfigurazione con la nostra ragione
ecco che ci appare la potenza inafferrabile del mistero
e se … analizziamo i sentimenti del nostro cuore
non ci meravigliamo di percepire il palpito della paura.
Se … desideriamo entrare nell’ottica cristiana della trasfigurazione
comprendiamo che i nostri passi si muovono al ritmo del silenzio
e se … c’è una parola che si può pronunciare di fronte alla trasfigurazione
questa è la parola rivelatrice che risuona dall’Alto.
Se … il nostro spirito è orientato alla trasfigurazione come dono e impegno
non possiamo rinchiuderla nel nostro orizzonte personale
ma dobbiamo lanciarla come sfida di speranza al mondo intero.
COSTRUIAMO UN MONDO MIGLIORE
Una fede autentica – che non è mai comoda e individualista – implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo, di trasmettere valori, di lasciare qualcosa di migliore dopo il nostro passaggio sulla terra. Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli. Sebbene “il giusto ordine della società e dello Stato sia il compito principale della politica”, la Chiesa “non può né deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia”.
Tutti i cristiani, anche i Pastori, sono chiamati a preoccuparsi della costruzione di un mondo migliore. Di questo si tratta, perché il pensiero sociale della Chiesa è in primo luogo positivo e propositivo, orienta un’azione trasformatrice, e in questo senso non cessa di essere un segno di speranza che sgorga dal cuore pieno d’amore di Gesù Cristo. Al tempo stesso, unisce “il proprio impegno a quello profuso nel campo sociale dalle altre Chiese e Comunità Ecclesiali, sia a livello di riflessione dottrinale sia a livello pratico”. (Papa Francesco, Evangelii Gaudium)
LA RIVOLUZIONE DELL’AMORE
Abituati come siamo al linguaggio del nostro Fondatore che, da cristiano e mistico, per parlare di Vangelo ha usato espressioni dal forte tono di radicalità, forse oggi comprendiamo meglio le proposte ecclesiali rivelatrici dell’aria nuova che si respira e che siamo chiamati a portare nel mondo come risposta alle nuove esigenze.
Proprio a proposito del verbo trasfigurare, per fare un esempio, ci sentiamo agganciati da una profonda sintonia e quasi d’istinto riandiamo alla dimensione che caratterizzala nostra spiritualità e il nostro apostolato: la “rivoluzione dell’amore”. E sappiamo bene che non è un atteggiamento di contestazione, ma l’opzione fondamentale dell’andare “contro corrente” predicato da Gesù.
È il cristianesimo delle Beatitudini, lontano da presunzioni ideologiche o da comode assuefazioni; un programma di vita e di azione che diventa umile sequela e testimonianza credibile per l’oggi, e spalanca le porte del futuro per chi vive lo spirito della “magna charta” e per chi ne raccoglie i frutti.
È la fede alimentata dall’amore e dalla speranza escatologica, le virtù che conducono un giorno alla piena felicità della visione beatifica, come si esprime San Paolo: “Noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore” (2 Cor 3, 18).
C’E’ ANCORA UNA SPERANZA
Sull’alto di un monte ti crocifissero,
schernirono il tuo dolore
deridendo l’agonia.
Ma quando la luce fu tenebra
e la terra tremò
e le pietre si spezzarono,
gli uomini se ne scesero impauriti
urtando contro i sassi impazziti
battendosi il petto
senza ormai una speranza:
avevano ucciso «il fratello».
Scendo dal Guadagnolo;
dai ripidi tornanti della strada
vedo ancora le braccia protese,
il tuo volto che guarda lontano,
o Cristo fratello universale,
e sento una voce che grida e ripete:
non basta pentirsi, è tempo di agire;
se tutti tornate fratelli
per il mondo c’è ancora una speranza.
Santa Maria, madre dell’umanità
aiutaci tu a ritrovarci fratelli.
Guglielmo Giaquinta