Una santità per tutti

Lunedì mattina: una giornata apparentemente come le altre, gente in fila sotto il colonnato di S. Pietro, folla festosa che attende cantando l'udienza con Papa Francesco. Sono i cinquemila gitani venuti a Roma per il pellegrinaggio internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti in occasione del cinquantesimo anniversario della visita di Paolo VI all’accampamento di Pomezia.

Un pellegrinaggio scandito da tre momenti forti: la Via Crucis al Colosseo, la S. Messa al Santuario del Divino Amore e poi, proprio nell’Aula intitolata a Paolo VI in Vaticano, l’incontro con Papa Francesco. «Vorrei che anche per il vostro popolo si desse inizio a una nuova storia – ha detto loro il Papa –, a una rinnovata storia. Che si volti pagina! È arrivato il tempo di sradicare pregiudizi secolari, preconcetti e reciproche diffidenze che spesso sono alla base della discriminazione, del razzismo e della xenofobia».

 

Fin qui, tutto normale. Parole che forse, tutto sommato, ci aspettavamo... Quello che forse non ci aspettavamo di sapere è che le comunità gitane hanno avuto in questi anni anche numerose vocazioni alla vita religiosa e che - oltre al Beato Zeffirino Giménez Malla, figlio di nomadi, proclamato da Benedetto XVI 'martire del Rosario' - è in corso il processo di beatificazione anche per Emilia Fernández Rodríguez e Juan Ramón Gil Torres, entrambi morti durante la persecuzione anticristiana della guerra civile spagnola.

 

La santità è possibile anche per uno 'zingaro'? La vita di Zeffirino risponde in maniera affermativa: le condizioni di estrema povertà in cui ha vissuto non hanno fatto di lui un ladro o un approfittatore. L’onestà, che gli veniva riconosciuta da tutti, faceva sì che molti gli chiedessero consigli, facendolo intervenire per mettere pace nelle liti familiari, nelle controversie tra gitani e nelle discussioni tra questi e le persone del luogo. Tutti, per lui, erano “prossimo”: d’inverno andava a soccorrere gli zingari più poveri; un giorno ha riportato a casa, dopo averlo caricato sulle sue spalle, un ricco possidente di Barbastro, malato di tubercolosi.

Aveva sempre la corona del rosario in mano, molto attivo nelle associazioni religiose, impegnato nell’adorazione notturna, partecipava quotidianamente alla S. Messa e, quando 'regolarizzò' la sua posizione con il matrimonio religioso, potè accostasi ai sacramenti.

Nei primi mesi della guerra civile che insanguinò la Spagna fu arrestato per aver difeso un sacerdote. Al momento dell'esecuzione stringeva tra le mani la corona del rosario. È il primo zingaro beato nella storia della Chiesa, proclamato il 4 maggio 1997 da Giovanni Paolo II.

 

Vengono subito in mente le parole del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta: «il disegno del Padre è di chiamare tutta l'umanità, attraverso Cristo, gli Apostoli e la Chiesa, verso la pienezza dell'amore, cioè verso la santità». Forti di questa certezza, possiamo guardare al futuro con speranza, con sano ottimismo: la santità è possibile per tutti! Chiediamola per noi, per ogni uomo, in ogni ambiente, in ogni stato di vita, proprio in questi giorni che ci separano dal 1° novembre, festa di tutti i santi:

Fa’ che ognuno comprenda

che la santità è dono e conquista;

che il santo è il cristiano,

come il cristiano è l’uomo secondo Dio,

cioè l’uomo integrale.

 

Fa’ che ognuno voglia divenire

quello che tu l’hai fatto essere,

percorrendo la via dei giusti,

che è come la luce dell’alba

che va crescendo fino al giorno perfetto.

Signore, abbiamo bisogno di santi

perché abbiamo bisogno di salvezza.

Signore, donaci dei santi!

 

da Signore, donaci dei santi del Servo di Dio Guglielmo Giaquinta

Vittoria Terenzi