Pescara “città educativa”: non so se Pescara abbia mai ricevuto un augurio più adatto, tempestivo e prezioso di questo. Chi ha potuto farlo e con quale autorevolezza? Il sacerdote simbolo della lotta civile alla mafia, nato ai piedi delle Dolomiti venete, determinato, schietto e operoso, l’uomo sotto scorta da quarantaquattro lunghissimi anni. Don Luigi Ciotti, invitato dalla Caritas diocesana a parlare alla città pescarese e a sostenere con il Comune un progetto di recupero di un’area degradata, ha ovviamente riempito la sala del Consiglio Comunale, ovviamente dico io, perché ci sarebbe stato da dolersi del contrario data la scarsissima autorevolezza di molte voci nel panorama dei nostri giorni per i quali le sale possono anche rimanere vuote.
Don Ciotti parla e gli intervenuti sanno che l’impegno civile e cristiano di quel sacerdote con il ciuffo di capelli grigi inconfondibili ha segnato la storia italiana e portato alla luce un’umanità senza sostegno e senza rete che, sin dalla fondazione del gruppo Abele prima e di Libera dopo, ha trovato casa e dignità. Don Ciotti si farà abbracciare e stringerà molte mani alla fine dell’incontro, senza ritrosie e false distinzioni: non ci stupiamo neppure di questo perché chi ha vissuto la spiritualità della strada non ha difficoltà a incontrare la cosiddetta “gente”.
Nella città “educativa”, ha sottolineato Don Ciotti, tutte le sane componenti sociali entrano in gioco, arginano il male che si annida nei comportamenti e nelle coscienze, gli stili di vita corrotti e nascosti, promuovono un impegno di carattere culturale e educativo, ovvero un patto tra la famiglia e la scuola perché è l’educazione il più prezioso investimento della comunità. Una comunità coraggiosa, all’indignazione circa la corruzione e il degrado, risponde tentando di rendere più degna la città, non indugia perché sa di commettere un peccato di omissione, si occupa dei diritti di tutti, costruisce il tempo del “noi”, il tempo del “plurale”. L’indifferenza è un peccato mortale, si maschera con la rassegnazione e la disattenzione.
Le mafie ingrassano dove manca il lavoro e l’opportunità di studiare. Le mafie si adattano ai cambiamenti sociali, il livello di commistione è al massimo, mentre parlavamo di legalità nei convegni cresceva l’illegalità e la corruzione è da sempre l’avamposto delle mafie.
La prima riforma da fare è un’autoriforma: la riforma delle nostre coscienze. Siamo cittadini a intermittenza a seconda dei momenti, delle emozioni, delle circostanze, dobbiamo diventare cittadini responsabili pronti a questo cambiamento.
I corrotti devono essere sradicati dal sistema, devono andare via, via tutti, tutti. Questo grido non si può non sottoscrivere con tutta la forza possibile.
Don Luigi Ciotti cita Tonino Bello (il Vescovo rimasto sempre don): “Non mi interessa sapere chi sia Dio, mi basta sapere da che parte sta”. Da quella parte dobbiamo stare.
Nell’ultimo libro intervista “ Non tacerò ” a cura di Nello Scavo, reporter del quotidiano “Avvenire” e di Daniele Zappalà, corrispondente da Parigi per Avvenire, a pag. 148 si riporta il racconto di una delle minacce ricevute da Don Luigi che bene ne fotografa la cifra umana. ”Nel 1990 una nuova minaccia ancora più seria: su un foglio con la foto di Don Ciotti si legge ”Ti uccideremo presto. Sei condannato a morte. L’esecuzione è solo rinviata.” La busta contiene una dose di eroina di origine turca. Il commento di Don Luigi fu: “Mi infastidisce il fatto che mettano dell’eroina nella busta”.
Nicoletta Sechi