IL SALE DELLA TERRA

La passione per il cinema fin dai tempi del liceo ha per me la dimensione della possibilità.

E' il pensiero nuovo, lirica della vita degli altri, esercizio della vista, dell'udito, spazio per piangere o ridere segretamente, luogo della ricerca. Addirittura, in alcune situazioni di particolare grazia artistica, il cinema consente alla rappresentazione della sofferenza del mondo di frangersi, suddivisa tra gli spettatori, consentendo di portarne via un pezzo e renderla cosi’ piu' lieve. 

Alcuni film riescono a compiere questo prodigio piu' nitidamente: lo fa certamente lo  splendido documentario The Salt of the Earth (Il sale della terra)  premiato lo scorso anno in Un Certain Regard a Cannes. In circa 110 minuti si snoda il percorso umano e professionale di Sebastião Salgado, tra i più grandi e conosciuti fotografi contemporanei, per mezzo del bianco e nero della sua inconfondibile macchina fotografica. Salgado immortala i  fatti più sconvolgenti della storia recente, le carestie, le migrazioni di massa, e poi i genocidi, la schiavitù di lavoratori sottopagati e sfruttati, le tremende condizioni di vita dei bambini nel cuore dei conflitti. Non c’è filtro alla sofferenza, né selfie, né pose.

Ad esorcizzare gli orrori e le violenze, nella dualità tra la luce e le tenebre, dopo aver visto ingrandita dall’obiettivo la bestialità dell’umanità asservita al male, Salgado trova innocenza laddove l’uomo è rimasto piu’ naturale e cosi’ sollevando ancora la macchina fotografica salva e omaggia la Terra e le sue creature.

Certo il corpo seminudo di un bimbo solo nel deserto non si puo’ dimenticare, sento anche il dovere come madre di dirlo ai miei figli. Vivere oggi in questa parte di mondo non è fatto da dare per scontato. 


Nicoletta Sechi