La santità alla quale aspiriamo è la santità dei piccoli, dei bambini che confidano. È la santità dell'amore quotidiano, dei gesti di donazione semplici.
Diceva padre Josef Kentenich nel 1963: “Cosa intendiamo per piccole virtù? Sono virtù straordinariamente grandi, ma che si praticano nella vita quotidiana, che all'esterno non portano mai il sigillo dell'eroismo. È la quotidianità, l'ordinario. Nella Famiglia parliamo della santità della vita quotidiana. Fare l'ordinario straordinariamente bene”.
Una santità dei piccoli gesti. Una santità che consiste nel fare le cose ordinarie straordinariamente bene. Una santità dell'amore che si dona con libertà e con pace giorno dopo giorno.
Essere santi oggi non ci porta ad allontanarci dal mondo, anzi. Il mondo di oggi ha bisogno di santi vivi e vicini da poter toccare. A volte allontaniamo talmente la santità dalla nostra vita che non crediamo nella santità umana di quanti ci sono accanto.
Abbiamo vestito la santità di perfezione e non ammettiamo i difetti nei santi. Né gli errori. Né le cadute. Abbiamo disegnato una santità in bianco e oro, di perfezioni irraggiungibili, e così siamo diventati esenti dall'obbligo di essere santi.
Santa Teresina voleva essere elevata dal Signore come in un ascensore. La vera santità passa per il fatto di lasciare che Gesù ci prenda tra le braccia, ma non possiamo essere santi senza intimità con Lui.
Una persona pregava: “Grazie perché sono una roccia spezzata, Signore. Tu sai tutto. Tu sai quanto ti amo. Stai sempre al mio fianco. Che io veda il tuo volto, i tuoi occhi, dicendomi che mi ami moltissimo. Ti consegno la mia àncora. Àncorami al tuo cuore per sempre e che coloro che soffrono di più possano ancorarsi sempre a me. Tu vegli su di me”.
È impossibile avanzare senza un amore personale per Lui. Poco tempo fa mi raccontavano di alcuni cristiani che confessavano di non pregare mai Gesù. Mi ha sorpreso. Senza una conversazione vicina e personale con Gesù, la nostra vita interiore non cresce. È l'amore dell'amico che se non viene coltivato si raffredda.
Gesù è un amico sconosciuto per molti. Un autentico estraneo nella loro vita. Non ci accompagna in tutto ciò che facciamo? Non volgiamo a Lui lo sguardo ogni volta che ci sentiamo soli? Non ci ancoriamo a Lui? Senza profondità nello sguardo, senza profondità nell'incontro, non possiamo aspirare alla santità.
La santità ci starà sempre grande, perché è una grazia di Dio.Perché Dio ci riveste del suo amore. Ma tutto inizia con il riconoscimento della nostra povertà. Quando assumiamo che da soli non ce la facciamo.
Una persona pregava a Schoenstatt nella celebrazione del centenario: “In questa terra santa vedo la mia creta. Mi vedo tanto piccolo, tanto impuro. Tu inginocchiata davanti a me. Io inginocchiato davanti a te. Vedo tanto amore. Tanto rispetto. Tremo. Tanto amore mi trascende. Il mio cuore è povero. Povero e ferito. Spezzato. La voce incrinata. Come non alzare la mano e sognare!
È facile sognare. Basta vedere ciò che non vedo. Odorare ciò che non odoro. Sentire ciò che non tocco. Tutto tanto facile. Tanto impossibile. Sorrido. L'anima quieta. Aperta. Come una brocca. Come un calice ai piedi della tua ferita. Della mia ferita. Mi vedo tanto piccolo in questo santuario. Perso ai tuoi piedi. Taccio e pronuncio il mio 'sì'. È ciò che conta. Ai tuoi piedi come un bambino. Ai tuoi piedi come un povero.
È difficile capire tutto. Molte cose non le capisco. Ma pronuncio il mio 'sì'. Quello che ti dico ogni giorno. Grazie. Come un bambino. Come il sole si alza davanti a me. Torno a dire quel 'sì'. Taccio. Prendo il calice. Prendo la croce. La vita non mi fa paura”.
Essere santi non ha a che vedere con la perfezione, perché non possiamo essere perfetti. Perché ci trascende. Perché la nostra accidia ha poco a che vedere con una vita perfetta e senza macchie.
Aspiriamo alla santità come un dono di Dio che chiediamo ogni giorno. È il desiderio che cresce nel cuore. Dipende da noi. Vogliamo essere santi. Ma se non diamo il nostro 'sì' non cambia nulla. Due vie: o continuiamo nello stesso modo o ci mettiamo in marcia. O ci trasciniamo per la vita pensando di essere stanchi o continuiamo a camminare senza paura di ciò che verrà.
fonte Aleteia